Cambio di rotta

Smart working, ora nessuno lo vuole fare più: stare a casa costa più che andare in ufficio

Secondo un sondaggio l'80% dei dipendenti non gradisce la soluzione del "lavoro agile", ma Comuni e aziende non la pensano così.

Smart working, ora nessuno lo vuole fare più: stare a casa costa più che andare in ufficio
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E' solo l'ultimo dei paradossi che ci presenta il contesto storico economico dell'Italia di questi tempi. Perché ora, dopo tante polemiche, sembra che nessuno (o quasi) voglia più fare lo smart working. E il motivo è molto semplice ed è legato alla stretta attualità di questi ultimi mesi: fatti quattro conti su luce, computer e (tra poco) riscaldamento, stare a casa costerà più che andare in ufficio.

Niente più smart working: torna la "voglia" di... ufficio

Dopo la stretta necessità della fase più emergenziale della pandemia Covid e il periodo del relativo lockdown, torna dunque prepotente e di attualità la "voglia" di...ufficio.

Il cambio di prospettiva è figlio non solo delle diverse dinamiche dell'impatto del Coronavirus (che fa oggettivamente meno paura, anche se i contagi negli ultimi giorni sono in risalita), ma anche e soprattutto delle dinamiche economiche e sociali che stanno segnando questi ultimi mesi e le abitudini (in termini di un occhio al salvadanaio) di milioni di italiani.

Ecco allora che l'atteggiamento ora tiepido verso lo smart working e la rinnovata "voglia di ufficio" è legata agli aumenti dei prezzi dell'energia e alla mancanza di rimborsi da parte delle aziende.

L'indagine dell'Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche

Del resto, il report d'indagine dell'Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche parla chiaro e ha dato un riscontro che non lascia spazio a troppi commenti.

L'80% dei dipendenti pubblici e privati interpellati è pronto a dire "no, grazie" alla possibilità di lavorare ancora da casa.

La soluzione del rimborso poco praticabile

Sempre dal sondaggio è emerso che l'unica possibilità di invertire questa risposta è che le aziende provvedano a un rimborso, magari anche forfettario e non necessariamente "al centesimo" (anche perché difficilmente calcolabile) dei consumi domestici legati allo smart working.

Una soluzione non impossibile, ma difficile. Che eventualmente potrebbe essere presa in considerazione solo da grandi aziende e "colossi" e meno verosimilmente da realtà più piccole.

E lo stesso discorso vale ancor di più per le realtà della Pubblica amministrazione e in questo caso la fotografia emersa su 18 milioni di dipendenti pubblici, tra i 6 e gli 8 milioni potrebbero ancora lavorare da casa.

Smart working, si riaccenderà il dibattito?

Si tratta dunque di un tema delicato sul quale in passato non sono mancate le polemiche anche da parte del ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta.

Ora che succederà? Si riaprirà il dibattito? L'indagine dell'istituto nazionale con lo scarso gradimento dei dipendenti arriva a pochi giorni di distanza dall'avvio (dal 1 ottobre) della "modalità agile" per fragili e genitori con figli minori di 14 anni.

Le aziende la pensano diversamente...

Il sondaggio arriva poi quasi in contemporanea ad un'analoga indagine dove è emerso invece che più della metà delle aziende vorrebbe mantenere lo smart working. 

Addirittura nel Nord Est dell'Italia è una soluzione che trova d'accordo il 70% degli imprenditori contro il 30% al Sud.

La decisione del Comune di Torino

Infine, il dibattito potrebbe riaprirsi perché proprio in queste ore il Comune di Torino ha lanciato un piano di risparmi da trenta milioni di euro.

Tra gli accorgimenti dove l'Amministrazione conta di risparmiare soldi di luce e riscaldamenti c'è proprio il ripristino a più ampio raggio dello smart working e l'accorpamento di alcuni uffici.

 

 

 

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