La Russia sta bruciando il gas pur di non mandarlo all'Europa
Il gas flaring è una pratica soggetta a forti limitazioni sulla base del protocollo di Kyoto.
Immagini satellitari del sistema di monitoraggio degli incendi della NASA hanno immortalato le fiamme nella stazione di compressione di Portovaya, di proprietà di Gazprom, al confine fra Russia e Finlandia.
La notizia è stata data dalla televisione finlandese Yle:
"La Russia sta bruciando il gas in eccesso che non esporta nei paesi europei".
Uno spreco, e al tempo stesso uno schiaffo, che andrebbe avanti da giugno, in concomitanza con la chiusura dei rubinetti del gasdotto Nord Stream 1 (prima al 60% e poi al 40%) da parte del presidente russo Vladimir Putin.
La Russia sta bruciando il gas che non riesce a vendere
Senza i clienti europei, a cui prima della guerra arrivava l’83% delle esportazioni di gas naturale, la Russia ha poche opportunità di vendita e ricorre al flaring, pratica che consiste nel bruciare senza recupero energetico il gas naturale in eccesso estratto.
Il gas flaring è una pratica che consiste nel bruciare senza recupero energetico il gas naturale in eccesso estratto insieme al petrolio, perché risulterebbe troppo costoso costruire infrastrutture adeguate per trasportarlo nei luoghi di consumo. Il gas combusto genera una fiamma sopra le torri petrolifere.
A fronte degli accordi internazionali in materia ambientale, il gas flaring è soggetto a forti limitazioni. Sulla base del protocollo di Kyoto, sono previsti incentivi per la realizzazione di impianti a basso impatto ambientale che permettano, nel contempo, di non sprecare una risorsa preziosa in quanto il gas flaring prodotto, dopo aver subito un processo di lavaggio, può essere utilizzato per altri scopi.