Suicidio assistito, Elena è morta in Svizzera con l'aiuto di Marco Cappato (che si autodenuncia)
La decisione dopo la scoperta di un microcitoma polmonare (o carciroma polmonare), un tumore del polmone: neoplasia molto aggressiva con aspettative di vita davvero minime.
E' morta in Svizzera a 69 anni Elena, la donna di Spinea in provincia di Venezia che ha scelto il suicidio assistito dopo aver scoperto un tumore ai polmoni ormai non più curabile.
Suicidio assistito, Elena è morta in Svizzera
La decisione, sofferta, dolorosissima, è stata per la signora Elena, l'unica da percorrere. E ora, come annunciato da Marco Cappato che l'ha accompagnata in una clinica in Svizzera per terminare la propria esistenza, ha cessato di vivere. La donna, 69 anni, originaria di Spinea in provincia di Venezia, ha spiegato che ha voluto evitare l'inferno dei prossimi mesi.
La donna ha spiegato le proprie motivazioni in un video che Marco Cappato ha voluto condividere sui propri canali social.
"Solitamente sono una persona riservata - ha spiegato - Ma penso possa essere utile alle persone nella mia condizione. Nel luglio 2021 mi hanno diagnosticato un microcitoma polmonare. Avevo poche possibilità ma ho deciso di curarmi. Purtroppo non è servito. I medici mi hanno dato pochi mesi di sopravvivenza. E mi hanno spiegato come sarebbero peggiorate le mie condizioni. Ho scelto di terminare io stessa la mia esistenza. La mia famiglia ha approvato la decisione".
Il sostegno di Marco Cappato
Un video commovente, in cui la donna appare lucida e determinata. Marco Cappato, dal canto suo, non le ha mai fatto mancare il proprio sostegno. E questo comporta dei rischi e delle conseguenze. Lui ha detto che si sarebbe autodenunciato (nella la stazione dei Carabinieri in via Fosse Ardeatine a Milano) non appena rientrato in Italia. Qui, nel nostro Paese, lui rischia fino a 12 anni di carcere, come ammette in un video. Anche perché il caso della signora non è contemplato dalla Corte costituzionale come uno di quelli in cui è ammesso il suicidio assistito.
Il caso vicentino
In provincia di Vicenza, a Cassola, un altro caso simile si sta verificando. Il paziente si chiama Stefano Gheller, 49 anni, malato di distrofia muscolare e costretto quindi all'immobilità. E' aiutato da un respiratore automatico ed è determinato a chiedere il suicidio assistito. Anche in questo caso Marco Cappato sta fornendo il proprio supporto. L'uomo ha presentato la formale richiesta che ora è al vaglio delle commissioni etiche e mediche dell'Ulss7.
I precedenti
Nella prima parte del mese di giugno del 2022 c'è stata la morte di Fabio Ridolfi, il primo malato in Italia a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito, dopo la sentenza 'Cappato-Dj Fabo' emessa dalla Corte Costituzionale. Il 46enne di Fermignano (Pesaro-Urbino) aveva però sì ottenuto il via libera, ma non ha potuto morire come aveva scelto perché l'Asl - contravvenendo alla legge - non aveva indicato il farmaco da utilizzare e lui, da 18 anni inchiodato a letto a causa di una tetraparesi, era stato costretto a ripiegare sulla sedazione profonda, sorta di "scelta di ripiego" seguita alla revoca del consenso alla nutrizione e alla idratazione artificiali.
Poi c'è Federico Carboni. La sua battaglia è stata lunga, estenuante e lenta, ma alla fine ha ottenuto l’accesso al suicidio assistito, così com’era stato stabilito da tempo. Di fatto, dopo 20 mesi di lotte legali, il 16 giugno 2022 il 44enne marchigianio di Senigallia (Ancona), finora da tutti conosciuto come “Mario“, è diventato il primo caso italiano di accesso al suicidio assistito, così come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019.
Ovviamente prima di queste due storie, a livello temporale, c'è quella di Dj Fabo. Rimasto tetraplegico per un incidente stradale, Fabiano Antoniani, ha scelto di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera il 27 febbraio del 2017. Con lui c’era, anche in quell'occasione, Marco Cappato che il giorno successivo si autodenunciò.
La procura di Milano denunciò Cappato con l’accusa di aiuto al suicidio e per lui iniziò il processo che si concluse, però, il 23 dicembre 2019 con l’assoluzione totale. La Corte costituzionale, chiedendo un intervento del Parlamento per colmare un vuoto legislativo, aveva inizialmente rinviato a settembre 2019 il verdetto sull’aiuto al suicidio ma poi fu costretta ad assolverlo: non esistevano elementi per incriminarlo.
Piergiorgio Welby
L'intero dibattitto sul suicidio assistito, ad ogni modo, non esisterebbe nemmeno senza l'impegno, la dedizione e i sacrifici di Piergiorgio Welby, co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni, militante del partito Radicale, noto proprio perché nel 2006, gravemente malato, chiese che venissero interrotte le sue cure, morendo a 61 anni per il distacco del respiratore artificiale previa somministrazione di sedativi.
Come annunciato, Cappato si è autodenunciato
Come annunciato sui suoi canali social, Marco Cappato, appena lasciata la Svizzera, si è diretto a Milano, nella caserma dei Carabinieri di via Fosse Ardeatine a Milano, per autodenunciarsi. Ha spiegato ai militari dell'Arma che se altre persone, come Elena di Spinea, chiederanno in futuro lo stesso sostegno, lui e l'associazione che rappresenta (Luca Coscioni) ci saranno.
Sarà, dunque, secondo Cappato, compito della giustizia stabilire se sia un reato o se ci siano i presupposti per la reiterazione del reato. Per lui c'è solo discriminazione. Discriminazione tra malati, tra persone come Carboni, dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, ed Elena. C'è poi il nodo spinoso della legge di iniziativa popolare, secondo Cappati, mai finita nell'agenda di discussione del Parlamento. In nove anni.
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