Da Segrate al cuore dell’Africa: la scelta di Federico Veronesi
Le sue stampe a edizione limitata sono ricercate da collezionisti in tutto il mondo.
Il richiamo dell’Africa e dei suoi animali lo avvertì da giovane, giovanissimo. E non capita di certo a tutti i bambini il poter vivere la straordinaria esperienza di un safari. In quel momento Federico Veronesi stabilì il primo contatto con il Continente Nero. Un legame che, non soltanto non si è mai spezzato, ma che a 25 anni l’ha spinto a lasciare il suo lavoro e Segrate per stabilirsi definitivamente in Africa. Con una «compagna» fedele: la sua macchina fotografica con la quale ha scattato migliaia di fotogrammi, ciascuno rappresentante un animale, un paesaggio. In poche parole un’emozione.
Chi è Federico Veronesi
Federico Veronesi è nato a Milano nel 1975 e cresciuto in una famiglia di appassionati naturalisti e fotografi a Segrate dove ha frequentato scuole elementari e medie a Milano Due. Dopo il diploma al liceo scientifico Machiavelli e la laurea alla Bocconi, nel 2000 si è trasferito definitivamente in Kenya, lavorando inizialmente per un’Organizzazione Internazionale a Nairobi. Ma nel 2007 ha lasciato il lavoro e si è stabilito in una piccola tenda semi-permanente sulle sponde del fiume Talek, nel Masai Mara National Reserve. Il suo desiderio di vivere nella savana selvaggia stava cominciando a prendere forma. Dopo il Kenya, Federico si è avventurato in Tanzania, e ha trovato un altro angolo di paradiso nelle savane sconfinate del Serengeti. Le sue stampe a edizione limitata sono ricercate da collezionisti in tutto il mondo e sono disponibili presso diverse gallerie in Europa e USA. Le sue immagini sono anche state pubblicate in molti libri e riviste, tra cui BBC Wildlife e i libri di BBC Earth. L’impegno di Federico è consultabile sul sito www.federicoveronesi.com.
L'intervista al fotografo
Il suo primo contatto con l'Africa è avvenuto a 7 anni. Che ricordi ha?
«E’ stato un viaggio con i miei genitori, la realizzazione di un sogno. Ricordo i primi animali avvistati, un gruppetto di zebre, una mandria enorme di elefanti nella palude sotto al primo lodge a Meru National Park, poi la caccia dei leoni ad Amboseli e il primo leopardo a Samburu, a quei tempi un incontro rarissimo. Forse il ricordo più forte è la sensazione di malinconia al decollo per tornare a casa, il mal d’Africa che si era insinuato in me per non lasciarmi più».
Poi il legame si è riallacciato a 25 anni e da allora non si è più spezzato
«A 25 anni ho lasciato il lavoro che avevo trovato in Italia dopo l’università e mi sono trasferito permanentemente in Kenya. Essere nel cuore dell’Africa Orientale, circondati da parchi e animali meravigliosi è ancora oggi una grande gioia. La luce, gli spazi infiniti, i cieli nuvolosi, tutto ti entra dentro e ti lega indissolubilmente a questi luoghi.
L'Africa, la savana, gli animali: quanto la emozionano ancora la mattina quando si sveglia e li osserva?
«Le emozioni di essere in mezzo agli animali e alla natura sono sempre più forti più passa il tempo, uscire dalla tenda, salire in macchina e avventurarsi nella savana pieni di aspettative. Da fotografo poi c’è sempre la speranza di scattare delle immagini nuove, di cercare quell’animale particolare, c’è sempre l’attesa che tutti gli elementi naturali si allineino perfettamente per creare l’immagine perfetta. Non succede quasi mai, ma questo è proprio il bello».
Le foto del suo primo libro «Luce e Polvere» erano accompagnate da un breve testo e l'impressione è che voglia sì dare un contesto, ma non distrarre il lettore dall'osservazione delle immagini, le uniche protagoniste. E' così?
«Si, penso che le immagini debbano parlare da sole e suscitare emozioni nell’osservatore, senza filtri o spiegazioni. Però in un secondo momento trovo che sia interessante capire cosa circondava quello specifico momento catturato».
Cosa cerca di catturare nelle sue foto?
«Questo cambia nel tempo e da immagine a immagine. Inizialmente cercavo di raccontare quello che succedeva, catturare interazioni, momenti speciali tra animali, nel modo migliore possibile, in termini di luci, sfondi, composizione etc. Ora cerco maggiormente di raccontare le emozioni, trasmettere l’anima degli animali che fotografo. E mi piacerebbe catturare anche le nostre emozioni attraverso gli occhi di questi animali straordinari. Questo è quello che cerco di fare specialmente in questo secondo libro».
Come si differenzierà questo nuovo libro dal primo?
«La differenza principale sarà forse il fatto che questo secondo libro sarà principalmente in bianco e nero. Le immagini a colori saranno poche e sottolineano momenti cruciali della storia. Che è sicuramente l’altro elemento di distinzione rispetto al primo. Mentre Light and Dust era una sorta di portfolio di immagini, questo secondo libro racconterà la storia di un unico personaggio interpretato dai diversi animali in ogni immagine».
Il libro uscirà a ottobre, ha scelto il titolo?
«“One Life”, una vita. La storia raccontata dal libro è la metafora di una vita, che è forse la grande protagonista. La vita potrebbe essere quella di qualunque degli animali fotografati. Ma anche la nostra. Con questo mi piace anche sottolineare come la vita sia l’elemento fondamentale che ci unisce a ogni altra creatura vivente, e spero che questo ci faccia rendere conto di quanto sia importante rispettare gli animali, proteggerli, trattarli come nostri compagni di viaggio in questo mondo. Mi piace fare trasparire la similitudine delle nostre emozioni».
Bianco e nero e colori, staticità e dinamismo si trovavano nel primo volume. Sarà così anche questa volta?
«Si, l’alternanza con il colore è attentamente studiata per contribuire al flusso emotivo della storia. Ci saranno i controluci, le luci drammatiche, le atmosfere drammatiche, le piogge, le polveri, quindi gli elementi ricorrenti nel mio stile fotografico».
C'è una foto alla quale è particolarmente legato?
«In questo momento forse la foto di copertina del libro, un’immagine di una leonessa e un leone che guardano l’orizzonte perfettamente appaiati dalla cima di una roccia, si intitola “Together” ed è un po’ la foto centrale di questo libro».
Quale animale le piace di più fotografare? E quale è stato il più difficile fotografare?
«Quelli che più mi piace fotografare sono forse elefanti e leoni, che infatti sono grandi protagonisti di questo libro. Adoro la loro maestosità, la forza che trasmettono. I leoni in particolare hanno questo sguardo che alle volte sembra malinconico e incerto, altre volte trasmette determinazione, coraggio. Più si passa tempo con loro e li si conosce, più ne si comprende l’animo e le emozioni. Il più difficile è stato sicuramente il caracal, un felino difficilissimo da vedere, notturno, elusivo, timidissimo, ma straordinariamente bello. A lui è dedicato un intero capitolo del primo libro ma compare anche nel secondo».
L'Africa è...?
«Casa, una casa meravigliosa da proteggere e curare».
Che legami ha ancora con l'Italia e Segrate? E si vede invecchiare in Italia o in Africa?
«Ho ancora i miei genitori e molti miei amici a Segrate e quindi sono molto legato. Mia moglie è toscana di Pisa quindi quando torniamo in Italia col nostro bimbo di 3 anni ci dividiamo tra questi due posti. Dove il futuro ci porterà è difficile dirlo, ma sicuramente il legame con l’Africa è talmente forte che sarà difficile rescinderlo».
Per sponsorizzare il volume ha lanciato una campagna di crowdfunding: si era posto come obiettivo i 25mila euro, ora siamo a 63mila e mancano ancora due settimane. Si aspettava un successo del genere?
«Francamente no, temevo anche di non riuscire a raggiungere il target, date le condizioni di emergenza del mondo e la mia scarsa propensione ai social media, ma evidentemente avevo sottostimato la voglia delle persone di viaggiare con l’immaginazione in questo momento difficile, e forse quante persone siano interessate al mio lavoro e alla mia fotografia. Sicuramente mi ha riempito di orgoglio e soddisfazione, e mi ha incoraggiato a proseguire il cammino con sempre maggiore passione e dedizione».
Sergio Nicastro