La prima tappa al Senato, poi dopo Natale il passaggio definitivo alla Camera: per la Legge di Bilancio è una corsa a tappe forzate contro il tempo, perché il limite tassativo per l’approvazione definitiva è comunque il 2025: sforare a gennaio significherebbe precipitare nel “limbo” dell’esercizio provvisorio, scenario che il Parlamento non vuole (giustamente) prendere in considerazione.
Una manovra “con gli addobbi”, che vale 22 miliardi, e segnata dal profumo delle festività quella che inizia il suo percorso questa mattina, lunedì 22 dicembre 2025, al Senato dopo il via libera nelle scorse ore in Commissione Bilancio.
A tenere banco non solo le polemiche con la presunta e chiacchierata crisi di maggioranza che avrebbe portato il Ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti (Lega) a un passo dalle dimissioni e dunque a una crisi di Governo, ma anche i contenuti veri e proprio del documento con alcuni punti che ancora non convincono tutti.

Ecco alcune tra le principali novità della manovra.
La sforbiciata all’Irpef per i redditi fino a 50mila euro
Di alcuni provvedimenti si parla da mesi come ad esempio la riduzione della seconda aliquota Irpef che scende dal 35% al 33% per i redditi fino a 50 mila euro.
La manovra 2026 si appresta a intervenire nuovamente sull’Irpef, una delle misure più discusse dell’ultimo anno e mezzo.
Pur trattandosi di un intervento ormai dato per acquisito, la bozza della legge di Bilancio ne delinea i confini, prevedendo un mini taglio destinato a coinvolgere quasi tre contribuenti su dieci.
L’obiettivo dichiarato è offrire un sostegno al ceto medio.
I tagli al fondo di coesione
Più controversa a anche attaccata politicamente dall’opposizione, un’altra “partita”.
Sul fronte dei tagli, oltre alla sforbiciata di 10 milioni per la Rai, viene colpito anche il Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, con le risorse ridotte di 300 milioni di euro per il 2026 e di 100 milioni per ciascuno degli anni 2027 е 2028.
Dal luglio silenzio assenso nuove assunzioni nel privato su pensione integrativa
A partire da luglio 2026, i lavoratori alla prima assunzione saranno iscritti automaticamente alla previdenza complementare, con la possibilità di esercitare il diritto di rinuncia entro sessanta giorni, il cosiddetto silenzio-assenso.
Il meccanismo di adesione automatica riguarderà anche i lavoratori dipendenti non alla prima assunzione: in questi casi, al momento dell’ingresso in azienda, il datore di lavoro sarà tenuto a informarli e a verificare la scelta effettuata in materia di previdenza integrativa.
La misura è prevista da un emendamento governativo alla legge di bilancio 2026, depositato nelle scorse ore in Commissione Bilancio del Senato.
L’intervento normativo supera il principio della “libera e volontaria” adesione alla previdenza complementare per i lavoratori dipendenti del settore privato.
Dal 1° luglio 2026, i lavoratori alla prima assunzione – con esclusione dei lavoratori domestici – confluiranno automaticamente nel fondo pensione collettivo individuato da accordi o contratti collettivi, anche di livello territoriale o aziendale.
In assenza di tali strumenti, i contributi saranno destinati al fondo residuale.
Le novità già da gennaio: Tfr e Fondo Inps
Già dal 1° gennaio 2026 invece scatterà l’obbligo di versamento del Tfr al Fondo Inps anche per le aziende con almeno 50 dipendenti.
Dal 2032 la platea si allargherà ulteriormente, includendo le imprese con 40 dipendenti o più.
Vengono inoltre estesi ai contratti rinnovati nel 2024 i benefici della tassazione agevolata al 5% sugli incrementi retributivi erogati dal 1° gennaio 2026, ampliando la platea dei beneficiari ai redditi fino a 33 mila euro.
È infine introdotto un meccanismo di versamento in acconto, entro il 16 novembre di ogni anno, pari all’85% del contributo sui premi delle assicurazioni di veicoli e natanti dovuto per l’anno precedente, con un gettito aggiuntivo stimato in 1,3 miliardi di euro già nel 2026.
Occhio ai tempi, dieci giorni per l’ok definitivo
Al di là delle schermaglie nella maggioranza, della posizione di Giorgetti (che ha scherzato, ma forse non troppo “…penso alle dimissioni tutte le mattine, sarebbe la decisione migliore per me”) e degli attacchi delle opposizioni, proprio appunto perché in mezzo alle festività, un occhio per l’approvazione definitiva della manovra, va dato ai tempi.
Tra un brindisi e l’altro, è infatti scattato il conto alla rovescia: nella fattispecie e in estrema sostanza ci sono dieci giorni per chiudere la partita.
Il testo dovrà passare alla Camera per il via libera in seconda lettura.
Altrimenti, se non verranno rispettate queste scadenze, lo spauracchio è quello dell’esercizio provvisorio.
Per quanto riguarda il Senato, il presidente Ignazio La Russa ha osservato:

“Le dichiarazioni di voto sono previste martedì mattina, prima di metà pomeriggio dovremmo finire”.