Nel pomeriggio di venerdì 28 novembre 2025, intorno alle 14, al grido di “Free Palestina” e “Giornalisti complici dell’arresto in Cpr di Mohamed Shahin“, decine di manifestanti ProPal ha fatto irruzione nella sede torinese del quotidiano La Stampa, in via Ernesto Lugaro a Torino. La redazione era vuota: giornalisti e giornaliste avevano aderito allo sciopero nazionale indetto dal sindacato di categoria per il rinnovo del contratto di lavoro e a difesa dell’informazione libera, democratica e plurale.
Secondo le prime informazioni, il gruppo – composto da oltre 40 persone tra studenti delle scuole superiori, universitari e militanti dei centri sociali legati all’area antagonista – si sarebbe staccato da uno spezzone del corteo principale, che aveva portato in strada oltre duemila persone durante lo sciopero generale. L’azione è stata condotta “come in un assalto“. Alcuni manifestanti, in parte a volto coperto, hanno urlato slogan come “Giornalista terrorista, sei il primo della lista“.

I danni alla sede
I cancelli dell’edificio sono stati colpiti con secchi di letame. Sui muri sono comparse diverse scritte: in rosso “Fuck Stampa” e in verde “Free Shahin“. Una decina di persone ha forzato un ingresso secondario facendo irruzione all’interno della redazione: rovesciate pile di giornali e libri, buttati a terra documenti e materiali dalle scrivanie, imbrattate le pareti con vernice spray. Un giornalista di un’agenzia che stava riprendendo l’accaduto è stato minacciato: “Giornalista, ti uccido“.

La Digos sta visionando le immagini registrate dalle telecamere interne ed esterne per identificare i responsabili. Finora sono state identificate e denunciate 34 persone appartenenti all’area antagonista torinese.
L’azione è stata in parte filmata e diffusa sui social, anche dal collettivo Ksa (Kollettivo studentesco autonomo), che ha spiegato di aver colpito La Stampa perché, a loro dire, avrebbe dipinto Mohamed Shahin come “uno spaventoso terrorista“. Alcuni collettivi studenteschi hanno rivendicato l’assalto pubblicando video girati dentro la redazione.
Il caso Mohamed Shahin
Mohamed Shahin, 47 anni, imam della moschea di San Salvario, è al centro di un acceso dibattito politico. Dal 24 novembre è trattenuto nel CPR di Caltanissetta in attesa di espulsione: secondo il Viminale sarebbe “una minaccia concreta, attuale e grave per la sicurezza dello Stato“.

Era stato filmato durante un comizio in cui definiva l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 “un atto di resistenza da appoggiare”, dichiarazioni poi ritrattate. La Corte d’appello di Torino ha convalidato il trattenimento poche ore prima dell’irruzione. Gli avvocati contestano il provvedimento di espulsione, temendo rischi per la sua vita in caso di rimpatrio in Egitto.
Condanna bipartisan e solidarietà istituzionale
Il Comitato di redazione de La Stampa ha definito l’attacco “gravissimo” e “ancora più vile” poiché avvenuto nel giorno dello sciopero nazionale:
“Un violento attacco al nostro giornale e all’informazione tutta. Non abbiamo paura. Siamo giornalisti. E continueremo a fare il nostro lavoro senza farci intimidire“.

Solidarietà è giunta da tutte le istituzioni. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio di vicinanza, condannando fermamente l’irruzione. Solidarietà anche da esponenti del Pd, di Azione, del Copasir, di Fratelli d’Italia e da parte del governo. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha definito l’episodio “gravissimo e del tutto inaccettabile“, disponendo una “verifica approfondita” sui fatti. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha telefonato al direttore Andrea Malaguti.
Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo ha raggiunto la redazione:

“Quanto accaduto non ha nulla a che vedere con il diritto a manifestare pacificamente le proprie idee ed è ancora più grave perché colpisce un simbolo del diritto alla libera informazione“.
Il presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Davide Nicco, ha osservato:

“Se manifesti per dire che un imam è non violento e lo fai devastando una redazione, smentisci te stesso: la protesta perde credibilità“.
Anche l’Ordine dei Giornalisti, la Fnsi e l’Associazione Stampa Subalpina hanno espresso una condanna durissima:
“Ogni forma di dissenso espressa con atti intimidatori e violenti non ci appartiene e la rifiutiamo con forza. Serve maggiore vigilanza intorno alle redazioni: la libertà di stampa non può subire limitazioni attraverso minacce e intimidazioni“.