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Famiglia nel bosco: politica e opinione pubblica gridano allo scandalo, ma cosa dicono fatti e sentenza?

Fra rischi polmonari, sismici ed isolamento sociale: i genitori hanno chiesto 150mila euro per lasciare che i figli venissero visitati

Famiglia nel bosco: politica e opinione pubblica gridano allo scandalo, ma cosa dicono fatti e sentenza?

E’ diventato un caso politico la decisione dei giudici del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che hanno disposto l’allontanamento di tre bambini dai genitori con cui vivevano in una piccola casa in un bosco, in provincia di Chieti, in Abruzzo.

famiglia nel bosco
La famiglia nel bosco

Così, mentre anche l’avvocato della famiglia si sfila, a causa dei totali rifiuti di Nathan Trevallion e Catherine Birmingham di costruire soluzioni intermedie (dicendo no anche anche ad una ristrutturazione gratuita offerta da un’azienda del luogo), il leader della Lega Matteo Salvini ha dichiarato che è “una vergogna che questa famiglia sia stata molestata e disturbata”.

Secondo fonti stampa, anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio hanno discusso della possibilità di inviare ispettori per valutare la gestione del caso da parte dei magistrati.

La giudice che ha firmato il provvedimento è ormai oggetto di minacce, mentre sui social è un fiorire di petizioni, oltre che di insulti contro una magistratura che saboterebbe il progetto di vita nella natura.

E ci si chiede se chi parla di “rapimento dei bambini” – i quali, peraltro, sono in compagnia della madre – abbia letto le ragioni della sentenza, fra cui, per esempio la richiesta dei genitori di 150 mila euro per consentire che i figli venissero visitati.

La realtà, al solito, ha più ragioni e più torti rispetto allo storytelling manicheo che, in alcuni casi, viene fornito. E l’epopea della “Famiglia nel bosco”, non fa eccezione.

L’avvocato si sfila

L’avvocato Giovanni Angelucci, fino a pochi giorni fa legale della famiglia, ha rinunciato al mandato citando “troppe pressanti ingerenze esterne” e i ripetuti rifiuti dei genitori di seguire strategie difensive proposte, tra cui la ristrutturazione gratuita di un casolare offerta da un imprenditore locale e la messa a disposizione di una casa dal sindaco di Palmoli.

Chiesti 150mila euro per far visitare i bambini

Fra i nodi più discussi la richieste dei genitori di 150mila euro per lasciar visitare i bambini (senza pediatra e privi di sostegno medico) ai sanitari. Si rendevano necessari prelievi del sangue e valutazioni neuropsichiatriche.

A Fanpage, l’avvocato Angelucci, aveva tentato di ridimensionare il fatto (seppure non potendo negare che fosse accaduto) spiegando la richiesta come una provocazione simbolica: i genitori volevano sottolineare il diritto a ricevere garanzie sul trattamento dei figli.

“Voi trattate i nostri figli come merce o cavie da laboratorio? Noi vogliamo garanzie”.

I genitori sostenevano inoltre di non avere bisogno di un pediatra perché i bambini non erano mai stati malati, rifiutando visite mediche ordinarie e analisi preventive.

L’intossicazione da funghi

Veniamo ora all’episodio che, un anno fa, ha fatto scattare le verifiche.  Il sindaco di Palmoli ha raccontato che i membri della famiglia erano svenuti dopo aver ingerito funghi raccolti nei boschi.

“Si sono salvati solo perché i gemelli, che probabilmente avevano mangiato di meno, hanno avuto la forza di raggiungere la strada provinciale”, ha spiegato il primo cittadino.

Le condizioni della donna erano talmente gravi da richiedere l’intervento dell’ambulanza e dell’elisoccorso. Alcune versioni sostengono che la famiglia si sia recata spontaneamente in ospedale, ma il primo cittadino e i soccorsi confermano un intervento di emergenza, contraddicendo questa ricostruzione.

In seguito all’episodio, il sindaco Masciulli aveva già messo a disposizione una casa comunale, lontano dai riflettori, che i genitori avevano accettato temporaneamente per circa dieci giorni, salvo poi tornare al casolare nel bosco.

Il casolare nel bosco

L’accesso al pronto soccorso a fine settembre 2024 ha attivato la prima segnalazione ai servizi sociali, secondo le procedure previste dalla legge per casi di possibile pericolo per i minori. Quando un bambino arriva in ospedale per ingestione di sostanze potenzialmente tossiche, il personale sanitario deve valutare se la situazione possa configurare un reato perseguibile d’ufficio. In presenza di indizi di abbandono, incuria o altre condizioni di rischio, i medici hanno l’obbligo di informare la Procura presso il Tribunale per i minorenni.

Come ricorda l’ordinanza, questa segnalazione non è discrezionale: la mancata comunicazione comporta responsabilità penale. Diverse sentenze hanno inoltre chiarito che la segnalazione va effettuata anche in presenza di un semplice dubbio, lasciando all’autorità giudiziaria il compito di valutare eventuali illeciti.

Per chi interpreta la vicenda come un intervento improvviso e ingiustificato dei giudici e dei servizi sociali, va sottolineato che la famiglia era già da anni attenzionata per problematiche sanitarie, di isolamento dei bambini e altri fattori di rischio. Non si tratta quindi di un’azione estemporanea, ma del risultato di un monitoraggio progressivo finalizzato a tutelare i minori.

La fuga con i bambini

Come reagì la famiglia all’intervento dei servizi sociali? Scappando con i bambini. Un anno fa, Catherine Birmingham, madre dei tre minori, lasciò il casolare e si trasferì a Bologna, facendo perdere le proprie tracce agli investigatori e ai servizi sociali che cercavano di intervenire sul caso.

Venne aperto un fascicolo giudiziario che ricostruisce passo passo la fuga di Catherine con i bambini L’unico a rimanere nel casolare fu Nathan Trevallion, il padre, che fornì informazioni false agli investigatori: in un’occasione dichiarò che la moglie e i figli erano tornati in Inghilterra, mentre lui era rimasto per “risolvere la situazione”.

A metà novembre Catherine si mise in contatto con i carabinieri, dichiarando di non voler “rivelare assolutamente la posizione” della famiglia a causa della “minaccia che ci portino via i nostri figli”. Seguì una serie di comunicazioni via mail fino a inizio dicembre, quando un avvocato consigliò alla famiglia di non nascondersi alle istituzioni, appello rimasto però inascoltato.

Solo il giorno di Natale Catherine ricontattò le autorità, fornendo l’indirizzo esatto della famiglia a Valsamoggia, Bologna. Poco dopo, la donna fece ritorno in Abruzzo, nel casolare tra i boschi, con la speranza che il procedimento dei servizi sociali venisse accantonato.

Motivazioni della sentenza e tutela dei minori

Nonostante questi precedenti di peso, il Tribunale non ha mai disposto la separazione definitiva dai genitori, ma ha collocato i bambini in una comunità educativa a Vasto per un periodo di osservazione, con possibilità per la madre di stare con loro e per il padre di effettuare visite regolate.

L’immobile in cui viveva la famiglia è descritto come un rudere fatiscente, privo di impianti elettrici e idrici, con problemi strutturali e rischio sismico, condizioni che secondo la legge costituiscono un “pericolo di pregiudizio per l’incolumità e l’integrità fisica dei minori”.

Inoltre, l’isolamento sociale impediva ai bambini di sviluppare competenze socio-emotive, autonomia e capacità di gestione dei conflitti, aspetti considerati essenziali dagli studi psicologici per un sano sviluppo infantile.

L’ordinanza sottolinea che l’homeschooling non era formalmente attuato: non erano stati depositati i documenti richiesti dalla legge e non era stata dimostrata alcuna forma di socializzazione alternativa.

L’esposizione dei bambini alla televisione, come nella trasmissione “Le Iene”, è stata inoltre qualificata come strumentalizzazione dei minori ai fini di pressione mediatica, aggravando le preoccupazioni dei giudici.

Un equilibrio delicato tra libertà e tutela

La vicenda mette in luce la tensione tra il diritto dei genitori a scelte di vita non convenzionali e l’obbligo dello Stato di proteggere i minori. Non ci sono “cattivi” e “buoni”: la famiglia ha il diritto di vivere secondo principi alternativi, ma quando tali scelte comportano rischi concreti per la salute, l’educazione e lo sviluppo dei figli, le istituzioni intervengono.

Il caso evidenzia l’importanza di evitare strumentalizzazioni ideologiche che rischiano di danneggiare i diretti interessati: i bambini. La tutela dei minori, la socializzazione e la sicurezza rimangono valori fondamentali che devono coesistere con il rispetto della libertà di scelta degli adulti, finché tali scelte non ledono chi è più vulnerabile.