Sempre meno alle urne

Come sconfiggere il partito dell’astensione: dagli incentivi al voto obbligatorio

I sistemi di Belgio e Australia e le proposte negli Stati Uniti. Ma funzionerebbero davvero?

Come sconfiggere il partito dell’astensione: dagli incentivi al voto obbligatorio

Ogni volta che in Italia ci sono le elezioni, il vincitore è sempre lo stesso: il “partito” dell’astensione. E anche alle Regionali di Veneto, Campania e Puglia coloro che hanno deciso di non recarsi alle urne hanno stravinto. Basti pensare che in nessuna delle tre regioni si è arrivati al 50% dei votanti, e mediamente la percentuale è scesa di circa il 10% rispetto a cinque anni fa.

E, dunque, puntuale, torna il ritornello su come far tornare gli italiani al voto. 

Il voto obbligatorio: gli esempi di Belgio e Australia

L’obbligo di voto è uno dei temi più affascinanti quando si parla di partecipazione democratica. Non molti Paesi lo adottano, ma quelli che lo fanno – e in modo particolarmente strutturato – sono Belgio e Australia, spesso citati come modelli per l’alta affluenza che riescono a garantire.

Il principio alla base del voto obbligatorio è semplice: la democrazia funziona davvero solo se tutti – o quasi – partecipano. Per questo Paesi come Belgio e Australia hanno scelto di trasformare il gesto del recarsi alle urne in un dovere civico, non solo in un diritto.

L’obiettivo è duplice:

  • contrastare l’astensionismo, fenomeno sempre più diffuso a livello globale;
  • rafforzare la rappresentatività degli eletti, assicurando che le decisioni politiche si fondino sulla volontà della maggioranza reale, non solo di chi sceglie di votare.

Il Belgio: uno dei primi Paesi al mondo a introdurre l’obbligo

Il Belgio è un vero pioniere. L’obbligo di voto risale infatti al 1893, un’epoca in cui molti Stati europei stavano appena aprendo al suffragio universale. Questa scelta, innovativa per il tempo, è rimasta una costante della vita politica belga.

Chi deve votare

Sono obbligati a presentarsi alle urne:

  • tutti i cittadini belgi maggiorenni;
  • gli stranieri UE e non UE che, per le elezioni locali, hanno scelto volontariamente di iscriversi nelle liste: un atto che comporta automaticamente anche l’obbligo di partecipare.

Come funzionano le sanzioni

Le sanzioni esistono, anche se la loro applicazione è spesso più simbolica che effettiva:

  • sono previste multe amministrative;
  • in caso di assenze ripetute, può risultare più difficile accedere a cariche pubbliche.

Nella pratica, lo Stato belga non investe grandi risorse nella persecuzione degli inadempienti, ma la sola presenza dell’obbligo ha un forte impatto culturale.

Affluenza sempre altissima

Il risultato è evidente: l’affluenza si mantiene stabilmente sopra l’85%, con punte ancora più elevate per alcuni tipi di elezioni.

L’Australia: un modello di efficienza democratica

Se il Belgio rappresenta la storia, l’Australia è spesso considerata il modello operativo più efficiente. L’obbligo di voto è stato introdotto nel 1924, in un contesto in cui la partecipazione era in calo e si temeva una perdita di legittimazione del sistema federale.

Chi è chiamato a votare

Devono presentarsi alle urne:

  • tutti i cittadini australiani dai 18 anni in su;
  • in occasione di elezioni federali, statali, locali e referendum.

Sanzioni chiare e applicate con rigore

A differenza del Belgio, l’Australia applica le sanzioni con continuità:

  • se un cittadino non vota senza giustificazione valida, riceve una multa;
  • ignorare la sanzione può portare a ulteriori conseguenze legali.

Il sistema è altamente organizzato, trasparente e orientato alla responsabilizzazione dei cittadini.

Affluenza tra le più alte al mondo

Grazie anche a questo modello, l’affluenza australiana sfiora quasi sempre il 90-95%, rendendo il Paese un riferimento globale in materia di partecipazione democratica.

Perché il voto obbligatorio incide così tanto sull’affluenza

Le ragioni sono sia psicologiche che pratiche:

  • eliminando la percezione del voto come scelta opzionale, si crea un senso condiviso di responsabilità;
  • la società interiorizza il voto come parte della vita civica, al pari del pagamento delle tasse o del rispetto delle leggi;
  • lo Stato, negli anni, costruisce procedure che rendono il voto semplice, accessibile e privo di ostacoli.

Naturalmente, non mancano le critiche: alcuni vedono l’obbligo come una limitazione della libertà individuale, altri ritengono che un’alta affluenza non equivalga sempre a un voto più consapevole. Tuttavia, la stabilità garantita da un’ampia partecipazione è un elemento che molti esperti valutano positivamente.

Lotterie, incentivi esterni e proposte economiche: possono davvero aumentare la partecipazione al voto?

Ma se non si volesse obbligare a votare, c’è la possibilità di dare degli incentivi? E se sì, quali? Come sempre, siamo tutti più “sensibili” quando si tocca il portafogli.

L’idea di utilizzare incentivi esterni per stimolare la partecipazione elettorale sta guadagnando sempre più attenzione nel dibattito pubblico e accademico. In un’epoca in cui l’astensionismo cresce in molte democrazie avanzate, studiosi e analisti cercano nuovi strumenti per riportare i cittadini alle urne, senza intaccare la libertà di voto o la legittimità delle istituzioni.

Lotterie e ricompense: cosa mostrano gli studi sperimentali

Diversi studi sperimentali hanno dimostrato che meccanismi come lotterie, premi simbolici o ricompense economiche esterne possono aumentare in modo significativo l’affluenza, soprattutto nelle elezioni caratterizzate da bassa partecipazione. Questi incentivi non interferiscono con la scelta elettorale, ma funzionano come una “spinta gentile”: ricordano al cittadino che votare è un gesto importante, anche quando la motivazione intrinseca è debole.

Studi evidenziano che gli “extrinsic rewards”, come le lotterie con premi modesti, sono capaci di incrementare sensibilmente il numero di votanti. Questo risultato ha riacceso l’interesse verso forme innovative di coinvolgimento civico, pur sollevando interrogativi etici e pratici sui loro effetti nel lungo periodo.

Le proposte negli Stati Uniti: pagare i cittadini per votare

Negli Stati Uniti, dove la partecipazione elettorale è tra le più basse del mondo occidentale e presenta forti divari socioeconomici, alcuni ricercatori e legislatori hanno avanzato proposte teoriche per pagare i cittadini che si presentano alle urne. L’obiettivo è chiaro: incentivare soprattutto le fasce a basso reddito, spesso meno rappresentate e più esposte a barriere pratiche che scoraggiano il voto.

Queste idee, pur non essendo mai state attuate su larga scala, hanno alimentato un dibattito significativo. Da un lato, il pagamento per il voto potrebbe ridurre le disuguaglianze nella partecipazione; dall’altro, pone interrogativi sulla percezione del voto come dovere civico e sui possibili effetti distorsivi degli incentivi economici. Per ora restano modelli teorici, ma testimoniano il crescente interesse verso soluzioni alternative per rafforzare la democrazia statunitense.

Incentivi fiscali per il voto

L’idea di introdurre incentivi fiscali per incentivare il voto riemerge periodicamente nel dibattito politico internazionale. Economisti, giuristi e studiosi hanno più volte analizzato la possibilità di usare leve economiche per aumentare la partecipazione democratica. Tuttavia, a livello globale, nessuna democrazia avanzata ha mai adottato stabilmente questo tipo di misura, e le ragioni sono molteplici.

Cosa sono gli incentivi fiscali al voto e dove sono stati proposti

In diversi Paesi — soprattutto negli Stati Uniti, dove l’affluenza è storicamente bassa — sono state formulate alcune ipotesi:

  1. Crediti d’imposta per chi vota
    Alcuni studiosi hanno suggerito un piccolo rimborso fiscale (25–50 dollari) riconosciuto a chi si reca alle urne. L’obiettivo sarebbe incoraggiare la partecipazione senza imporre il voto obbligatorio.
  2. Deduzioni per le spese collegate al voto
    Un’altra ipotesi riguarda il rimborso dei costi sostenuti per votare: trasporti, permessi lavorativi non retribuiti, servizi accessori. La misura, però, è rimasta allo stadio di discussione teorica.
  3. Lottery voting
    Non è un incentivo fiscale, ma segue la stessa logica: chi vota partecipa automaticamente a una lotteria con premi in denaro. Alcuni piccoli esperimenti pilota negli USA hanno mostrato forte interesse mediatico ma anche pesanti critiche etiche.

Perché nessuna democrazia li ha adottati

La mancata attuazione di incentivi economici al voto deriva da considerazioni etiche, costituzionali e pratiche:

  • Il voto non può essere monetizzato: offrire denaro o sconti fiscali rischia di trasformare un dovere civico in una transazione economica.
  • Equità fiscale in discussione: un incentivo potrebbe favorire in modo sproporzionato gli elettori con redditi più alti o più bassi.
  • Rischio di incostituzionalità: in molti ordinamenti tali misure potrebbero essere assimilate a una forma indiretta di “acquisto” del voto.
  • Dubbi sull’efficacia: numerosi studi indicano che gli incentivi economici aumentano poco l’affluenza e non incidono sulla qualità della partecipazione.