Nuova rottura tra Governo e sindacati sul futuro dell’ex Ilva. L’incontro che si è svolto a Palazzo Chigi, atteso come il tavolo della possibile ricucitura, si è invece trasformato nell’ennesimo punto di frattura in una vertenza che resta tra le più delicate dell’industria italiana.
Fiom, Fim e Uilm hanno abbandonato il confronto definendo “inaccettabile” il piano governativo e annunciando uno sciopero nazionale di 24 ore, con assemblee in tutti i siti del gruppo a partire da mercoledì 19 novembre 2025 (foto di copertina il tavolo dell’incontro, dal sito del Governo).
Le proposte del Governo: cassa per 4.450 addetti e nuovi investitori in trattativa
Come spiega in una nota ufficiale Palazzo Chigi, durante la riunione, presieduta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano – alla quale hanno partecipato il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Marina Calderone, il Ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e per il PNRR Tommaso Foti e il Consigliere per i rapporti con le parti sociali Stefano Caldoro – il Governo ha comunicato che:
- la Cassa integrazione non verrà estesa ai 6.000 lavoratori ipotizzati in precedenza, ma resterà per 4.450 addetti;
- 1.550 lavoratori saranno coinvolti in percorsi di formazione professionale, finalizzati alle competenze per la produzione con tecnologie green;
- sono in corso interlocuzioni con quattro potenziali investitori, compresi soggetti extra-UE, oltre alla prosecuzione del confronto con i fondi statunitensi Bedrock e Flacks;
- saranno stanziate ulteriori risorse per manutenzione e messa in sicurezza degli impianti, con l’obiettivo di recuperare capacità produttiva.
Secondo fonti vicine al dossier, la procedura di CIG si chiuderà a fine febbraio, e già dal 1° marzo 2026 potrebbe entrare in campo un nuovo investitore.
La posizione dei sindacati: “Questo è un piano di chiusura”
Una prospettiva che però non ha rassicurato le organizzazioni sindacali. Le sigle metalmeccaniche, unite nella protesta, ritengono anzi che le misure illustrate dal Governo configurino di fatto un piano di dismissione del polo siderurgico italiano.
Il timore principale riguarda la mancanza di un piano industriale chiaro e credibile, mentre l’avvicinarsi della scadenza della CIG alimenta il rischio di una fermata totale degli impianti dal 1° marzo.
“Abbiamo chiesto l’intervento della presidente del Consiglio – ha dichiarato Michele De Palma (Fiom) – La risposta è stata la conferma del piano che porta alla chiusura. Per questo abbiamo deciso lo sciopero”.

Anche Ugl e USB parlano di un possibile “collasso della filiera metallurgica italiana”, denunciando l’assenza di un progetto che garantisca continuità produttiva e tutela occupazionale.
Cornigliano in allarme: “A rischio mille posti di lavoro”
Tra gli stabilimenti più esposti c’è quello di Cornigliano, a Genova, dove i delegati sindacali denunciano il rischio concreto di:
- 1.000 posti di lavoro a rischio,
- la possibile chiusura definitiva del sito,
- un impatto sociale ed economico che coinvolgerebbe centinaia di famiglie e l’intero tessuto produttivo ligure.
Secondo le stime del sindacato, dal 1° gennaio il numero di lavoratori in Cassa integrazione potrebbe arrivare a 6.000 unità per almeno due mesi, con una fermata progressiva degli impianti fino allo stop generale previsto da marzo.
Sciopero di 24 ore e mobilitazione in tutti gli stabilimenti
La decisione di avviare uno sciopero nazionale di 24 ore è stata presa durante assemblee molto partecipate, dove i lavoratori hanno chiesto chiarezza e trasparenza sul futuro del gruppo siderurgico.
Alla mobilitazione si unisce anche la voce del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che chiede al Governo di ritirare il piano e riaprire un confronto vero, con un progetto industriale solido e investimenti certi.

Un nodo strategico per l’industria italiana
La vertenza ex Ilva torna dunque al centro dell’attenzione nazionale: tra crisi produttiva, incertezze sulle prospettive industriali e tensioni sociali, il futuro del più importante polo siderurgico italiano rimane fortemente in bilico.
La scelta tra dismissione, rilancio o transizione tecnologica appare sempre più urgente, mentre migliaia di lavoratori attendono risposte concrete sul proprio destino occupazionale.