TENSIONI FRA I PARTITI

Dopo la Giustizia, la Legge elettorale? Ipotesi di riforma (con nome del premier sulla scheda) congelata

Tutti i maldipancia nei due schieramenti, da quelli della famiglia Berlusconi ai riformisti del Pd, passando per Fratelli d'Italia in Lombardia

Dopo la Giustizia, la Legge elettorale? Ipotesi di riforma (con nome del premier sulla scheda) congelata

Fermento. Caos calmo. Qualcosa (e non poco) si muove e cova sotto le cenere della politica nostrana (in copertina, Giorgia Meloni, distribution free of charge by LaPresse/Palazzo Chigi/Filippo Attili).

Dalla nuova legge elettorale all’indicazione del presidente del Consiglio sulle schede elettorali, passando per i delicati equilibri nel Centrodestra (un paradosso considerando il più che consolidato consenso elettorale, in particolare del partito della premier).

Fino ad arrivare all’ormai sempre più in discussione leadership nel Centrosinistra e nel Pd di Elly Schlein.

Riforma elettorale: rivalità e rancori nel Centrodestra

Archiviata — almeno per ora — la riforma della Giustizia, congelata in attesa del referendum, Centrodestra e Centrosinistra danno segnali di irrequietezza e sono pronti a “scatenarsi” e “dar battaglia” con la legge elettorale.

Il terreno di scontro è delineato da tempo, non senza mal di pancia da più parti: l’idea della premier Giorgia Meloni di far comparire sulla scheda elettorale il nome del candidato presidente del Consiglio ha riacceso rivalità antiche e rancori nuovi, sia dentro che fuori la maggioranza.

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L’idea della premier, “bomba a orologeria” per il Centrosinistra

Il progetto, rivelato da Francesco Verderami sul Corriere della Sera, mira a blindare la leadership di Giorgia Meloni.

Se l’idea si concretizzerà, costringerebbe il Centrosinistra a un’autentica resa dei conti interna.

Immaginare i riformisti del Pd fare campagna per Elly Schlein o per un eventuale Conte candidato premier sembra, per molti, un esercizio di fantapolitica.

Politiche 2027, ribolle anche la maggioranza di Governo

Ma, come detto, la tensione non scorre solo a sinistra.

Anche nella maggioranza alla guida del Paese, le acque sono tutt’altro che calme.

Forza Italia e Lega non intendono farsi fagocitare ancora dall’ascesa di Fratelli d’Italia, mentre i malumori sul premio di maggioranza e sul ridisegno dei collegi crescono di giorno in giorno.

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Ecco perché il sogno presidenzialista di Meloni, per ora, sembra destinato a restare nel cassetto.

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Ma non è solo la segreteria di Elly Schlein che traballa.

Anche quelle di Lega (con lo scontro tra “nostalgici” del Nord e Team Vannacci) e Forza Italia (con i “ribelli” contro Tajani) non paiono saldissime.

Nel partito azzurro, la questione del “nome sulla scheda” ha toccato una corda molto sensibile: il rischio di vedere cancellato il nome di Silvio Berlusconi dal simbolo.

Piersilvio Berlusconi e Antonio Tajani

Un particolare non proprio di poco conto. E non solo per la storia politica. Anche per gli scenari attuali.

In particolare per Marina e Pier Silvio, primogeniti del Cavaliere, custodi del lascito paterno e generosi garanti economici del partito, sarebbe uno sgarbo imperdonabile.

Marina Berlusconi

Da qui le scintille con il segretario nazionale Antonio Tajani, accusato da alcuni dirigenti di eccessiva disponibilità verso le sirene meloniane.

Le voci di un alterco acceso tra il vicepremier e la deputata Cristina Rossello, molto vicina alla famiglia Berlusconi, non hanno certo contribuito a rasserenare il clima.

La crepa in Fratelli d’Italia, il siluro ad Arianna Meloni e Donzelli

Nemmeno in casa Meloni, però, regna l’armonia di un tempo.

L’ascesa al Governo e il boom di consensi ha trasformato l’antico monolite post-missino in un mosaico di correnti, ambizioni e piccoli potentati locali.

Il partito della “lealtà assoluta” ora è attraversato da guerre sotterranee per posti e influenze.

E proprio in questo clima di tensione, si inserisce il caso politico del momento: il siluramento di Federica Picchi, sottosegretaria allo Sport e figura considerata vicina ad Arianna Meloni e Giovanni Donzelli.

Sfiduciata la sottosegretaria no vax in quota FdI: franchi tiratori affondano Picchi al Pirellone
Federica Picchi, sottosegretaria allo Sport, sfiduciata in Regione

I due si erano mossi, da Roma in trasferta in Lombardia, al Pirellone proprio per chiamare a raccolta tutto il gruppo consiliare e assicurarsi il comportamento integerrimo degli alleati.

Ma, a sorpresa (o forse anche no), la mozione di sfiducia del Centrosinistra è passata. Con numerosi voti di “franchi tiratori” anche del Centrodestra.

La mossa, orchestrata in Regione con il tacito consenso di Lega e Forza Italia, è stata letta come un avvertimento alla coppia Donzelli–Arianna, ormai percepita da molti alleati come un “partito nel partito”.

Un segnale che nel Centrodestra nessuno è intoccabile e che le tensioni tra le diverse anime di Fratelli d’Italia stanno emergendo sempre più chiaramente.

Le Regionali come prova generale

In tutto questo quadro variegato, la tornata elettorale di fine novembre, con Puglia, Campania e Veneto al voto, sarà un banco di prova fondamentale per tutti.

In Campania, la vittoria di Roberto Fico inizia a essere sempre più un punto interrogativo, malgrado i sondaggi lo vedano comunque in vantaggio.

L’ex presidente della Camera Roberto Fico

Il tutto mentre il governatore uscente Vincenzo De Luca può già festeggiare la propria rivincita politica: dopo anni di scontri con la segreteria nazionale, ha costretto Elly Schlein a tornare sui suoi passi, stringendogli la mano e consegnando al figlio Piero la guida del Pd regionale.

Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca
Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca

Un trionfo personale che rinsalda il dominio del “governatore eterno” nonostante appunto la rinuncia al terzo mandato e a candidarsi con una propria lista civica.

In Puglia, Antonio Decaro (ex sindaco di Bari e ora europarlamentare) punta invece a misurare il proprio peso politico, forse con lo sguardo già rivolto proprio alla futura sfida per la leadership del Pd.

Antonio Decaro candidato governatore in Puglia con la segretaria dem Elly Schlein

Ma pur rimanendo alle Regionali, torniamo alla Lega.

Nel Veneto, il partito guidato da Matteo Salvini rischia di vedersi superato da Fratelli d’Italia, e non mancano già i segnali di malumore tra i governatori del Nord.

Zaia, escluso dalla corsa alla Regione (proprio con le stesse dinamiche di De Luca in Campania) e ostacolato più volte dallo stesso Salvini, resta una mina vagante.

Stefani con Salvini e Zaia

La sua leadership territoriale e il suo appeal rischiano di riaccendere la storica frattura tra la “Lega del Nord” e la “Lega nazionale”.

Dopo le Regionali cosa cambierà, via Salvini ecco Calenda?

Dunque il voto regionale sarà sì solo una tappa, ma forse decisiva.

Ogni segreteria a fine novembre e in vista del nuovo anno (e delle Politiche 2027) farà i conti con il pallottoliere: peseranno i voti, ma ancor di più i rapporti di forza interni alle coalizioni.

Per Meloni, sarà l’occasione per testare la fedeltà dei suoi; per Salvini, forse l’ultima occasione per restare in partita; per Conte, una verifica della sua tenuta territoriale. Per Schlein l’ultima possibilità di rintuzzare le velleità dei riformisti e dei promotori di Progetto Civico Italia.

Ma tornando a Meloni se i numeri dovessero ancora dare ragione a Fratelli d’Italia e alle strategie del suo leader, Radio Tam Tam sta registrando in questi giorni una clamorosa indiscrezione: uno scenario che vedrebbe la premier pensare a una nuova alleanza.

Carlo Calenda e Giorgia Meloni

Meno verde Padania, dunque con l’uscita di Salvini e della Lega e più “arancione” con l’ingresso in maggioranza di Calenda e Azione.

Una soluzione che avrebbe probabilmente la benedizione anche di Forza Italia che in particolare su Milano per le Comunali, ma tutto sommato anche nel panorama nazionale, sta da tempo strizzando l’occhio all’ex fondatore del Terzo Polo.