LO STUDIO

“Se un influencer pubblica immagini di bambini per incrementare il business è lavoro minorile”

La ricerca presentata alla Cattolica fotografa un fenomeno ormai radicato: l’esposizione dei figli sui social come parte integrante dell’attività economica dei genitori

“Se un influencer pubblica immagini di bambini per incrementare il business è lavoro minorile”

All’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano si è svolta la conferenza “Protagonisti consapevoli? La tutela dei minorenni nell’era dei family influencer”, organizzata da Terre des Hommes Italia insieme all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), all’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo (ALMED) e con la collaborazione tecnica di Not Just Analytics.

Un incontro denso di numeri, testimonianze e riflessioni, aperto dalla Garante per l’infanzia Marina Terragni, che ha ricordato l’importanza del disegno di legge bipartisan per regolare l’accesso dei minori ai social network e la presenza dei bambini nei contenuti digitali a fini commerciali.

“È una norma necessaria – ha affermato Terragni – e auspico che arrivi presto a compimento”.

Bambini protagonisti inconsapevoli

La ricerca presentata fotografa un fenomeno ormai radicato: l’esposizione dei figli sui social come parte integrante dell’attività economica dei genitori.

Un fenomeno che fa subito pensare ai Ferragnez dei tempi migliori, ridimensionatisi per ovvi motivi dopo la separazione, ma che in realtà si verifica in maniera molto più sistematica o organizzata in tantissimi contesti “minori”, cioè meno famosi, laddove lo scopo non dichiarato è quello di incrementare il proprio business proprio grazie a questo “escamotage”.

L’indagine ha analizzato 20 profili di family influencer e 1.334 contenuti social pubblicati in meno di un mese, rivelando che in un contenuto organico su due compare un minore, e in uno sponsorizzato su quattro i bambini hanno un ruolo attivo nella promozione di prodotti o servizi.

Nel 29% dei casi emergono situazioni potenzialmente problematiche per la privacy: nel 21% i bambini sono mostrati in momenti intimi (bagnetto, cambio del pannolino, sonno); nel 6% sono coinvolti in challenge o trend online; nell’1%vengono ritratti in momenti di rabbia, tristezza o difficoltà. Solo nello 0,65% dei casi i minori si oppongono esplicitamente alla ripresa, ma nel 63% dei contenuti compaiono sullo sfondo, probabilmente senza sapere di essere filmati. Ancora più significativo è il dato sull’età: quasi l’80% dei bambini esposti ha meno di 5 anni.

La tutela dei minori nell'era delle family influncer: lo studio della Cattolica sui figli esposti dai genitori sui social
Durante la conferenza è stata ricordata l’importanza del disegno di legge bipartisan per regolare l’accesso dei minori ai social network

“I più piccoli – ha spiegato la ricercatrice Elisabetta Locatelli – non possono comprendere le conseguenze della loro esposizione digitale. Anche quando sembrano consapevoli di essere ripresi, non sanno prevedere cosa significhi restare per sempre online”.

Un rischio anche psicologico

“Quando un genitore trasforma il figlio in parte di un’attività commerciale, assume di fatto un doppio ruolo: genitore e datore di lavoro”, ha sottolineato Federica Giannotta, responsabile Advocacy e Programmi Italia di Terre des Hommes.

“Questo rischia di compromettere la fiducia su cui si fonda l’infanzia e di esporre i bambini a rischi di adescamento e pedopornografia. Nei primi anni di vita, la perdita di spazi protetti e la messa in scena di momenti intimi possono minare il senso di protezione e la capacità di distinguere la realtà dalla finzione”.

Le parole di Giannotta trovano riscontro nei dati: solo nel 7% dei post organici e nel 2% dei contenuti pubblicitari vengono adottate forme di tutela della privacy, come pixelature o emoticon per coprire i volti dei minori.

Secondo Yari Brugnoni, co-founder di Not Just Analytics, la costante esposizione dei figli “è funzionale al mantenimento del posizionamento di mercato” dei family influencer. Le metriche di engagement, ha aggiunto Locatelli, mostrano che la presenza dei bambini – soprattutto sotto i 5 anni – tende ad aumentare l’efficacia delle campagne pubblicitarie, “anche se, paradossalmente, i contenuti organici senza minori ottengono talvolta risultati migliori”.

L’appello di Terre des Hommes: “È lavoro minorile”

Terre des Hommes chiede che il coinvolgimento dei minori nei contenuti social a fini commerciali sia equiparato al lavoro minorile e quindi sottoposto alle stesse regole di tutela.

La tutela dei minori nell'era delle family influncer: lo studio della Cattolica sui figli esposti dai genitori sui social
La ricerca presentata fotografa un fenomeno radicato: l’esposizione dei figli sui social come parte integrante dell’attività economica dei genitori

Tra le proposte: la valutazione preventiva dei contenuti da parte della Direzione Provinciale del Lavoro, la creazione di un registro ufficiale degli advertising che coinvolgono bambini e la collaborazione stabile con lo IAP per garantire il rispetto delle norme etiche.

Serve un quadro regolatorio chiaro, ma anche una presa di coscienza collettiva”, ha aggiunto Vincenzo Guggino, segretario generale dello IAP. “Il nostro Codice di Autodisciplina tutela i minori vietando messaggi che possano danneggiarli moralmente o fisicamente. È ora che questa tutela sia effettiva anche nel mondo dei social”.

Il ruolo della politica

La senatrice Simona Malpezzi ha riconosciuto che “la politica è arrivata tardi” di fronte a un fenomeno esploso “quando i cellulari si sono trasformati in smartphone”.

“Le leggi e i divieti – ha spiegato – servono come campanello d’allarme, ma da soli non bastano: devono andare di pari passo con la formazione di famiglie e insegnanti”.

Anche l’avvocata Marisa Marraffino, esperta di diritto dei media digitali, ha sottolineato

“Per garantire la tutela dei minori sarebbe opportuno che ogni contenuto pubblicitario venisse approvato prima della diffusione. Non possiamo accettare che una bambina di quattro anni promuova una crema o un prodotto di bellezza. Il principio guida deve restare sempre uno: la protezione del minore“.