Con il via libera definitivo del Senato alla riforma costituzionale della giustizia, che introduce tra le altre cose la separazione delle carriere dei magistrati, si apre ufficialmente la lunga campagna referendaria in vista del voto popolare confermativo previsto tra marzo e aprile 2026.
In campo si preparano due comitati contrapposti: uno per il Sì, che sostiene la riforma voluta dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, e uno per il No, promosso dall’Associazione nazionale magistrati (Anm) e da giuristi e rappresentanti della società civile contrari al provvedimento.
Il comitato per il No: “A difesa della Costituzione”
Il fronte contrario alla riforma ha annunciato la nascita del Comitato per il No al referendum sulla giustizia, presieduto dal costituzionalista torinese Enrico Grosso, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Torino. Il gruppo, già operativo da settimane, si propone di “sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi derivanti dalla riforma costituzionale sulla separazione delle carriere” e di “preservare l’attuale sistema di garanzie dei diritti dei cittadini”, come si legge nello statuto.

Grosso, figlio del giurista e già vicepresidente del Csm Carlo Federico Grosso, guiderà la campagna in rappresentanza di una larga parte della magistratura e del mondo accademico. Il comitato è aperto a magistrati, avvocati, professori, esponenti dell’associazionismo e cittadini, ma esclude esponenti o ex membri di partiti politici, per garantire indipendenza dai partiti di opposizione che pure sostengono il No.
Il presidente esecutivo è il giudice Antonio Diella, membro del direttivo dell’Anm; vicepresidente vicaria Marinella Graziano; vicepresidente e segretario Gerardo Giuliano; tesoriere Giulia Locati. Entro sessanta giorni sarà nominato anche un presidente onorario. Il comitato, attraverso iniziative pubbliche e campagne di informazione, punta a costituire un fronte ampio e apartitico contro quella che definisce “una minaccia all’autonomia e all’indipendenza della magistratura”.
Il comitato per il Sì: “Sì Separa”
Sul fronte opposto si è costituito il comitato “Sì Separa”, formato dalla Fondazione Luigi Einaudi, think tank di ispirazione liberale vicino ad Azione di Carlo Calenda. A guidarlo è l’avvocato Gian Domenico Caiazza, ex presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane e figura di riferimento del garantismo liberale.
Il comitato per il Sì raccoglie esponenti del mondo forense, accademico e mediatico favorevoli alla riforma Nordio, che considerano “un passo avanti verso una giustizia più equilibrata e imparziale”. Tra i membri figurano il presidente di +Europa Matteo Hallissey, la politologa Sofia Ventura, l’ex giudice costituzionale Nicolò Zanon, i giornalisti Alessandro Barbano, Pierluigi Battista, Andrea Cangini, Flavia Fratello e Claudio Velardi, oltre allo youtuber Ivan Grieco.
Tra le possibili figure simboliche del comitato anche Antonio Di Pietro, ex magistrato di Mani Pulite, che ha chiarito di non voler assumere ruoli politici ma di sostenere la necessità di “rendere il sistema giudiziario più trasparente e responsabile”.

Secondo Caiazza, “la separazione delle carriere non è un atto contro qualcuno, ma un passo avanti verso uno Stato di diritto più equilibrato, in cui ciascun potere eserciti la propria funzione nel rispetto delle garanzie e delle libertà individuali e costituzionali”.
Il comitato “Sì Separa” collaborerà con la Fondazione Einaudi, l’Unione delle Camere Penali e con reti associative come “Ditelo sui tetti”, un network di oltre cento associazioni cattoliche che sostengono la riforma. L’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) ha inoltre annunciato una campagna informativa basata su un “Manifesto in undici punti a favore del Sì”, per “un dibattito tecnico e non ideologico”.
Verso il referendum di primavera
Con la nascita ufficiale dei due comitati, prende così forma lo scontro tra i fautori e i detrattori della riforma Nordio. Il voto popolare, previsto per la primavera 2026, sarà il quinto referendum costituzionale nella storia repubblicana. Non essendo previsto il quorum, basterà la maggioranza dei voti validi per confermare o respingere la legge. Il risultato determinerà il destino di una delle riforme più simboliche del governo Meloni.