L’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi è uno dei temi più dibattuti della nuova Legge di Bilancio 2026. La misura, che prevede l’innalzamento dell’aliquota dal 21% al 26% per le locazioni turistiche e a breve termine, rischia di avere impatti significativi sia sui proprietari sia su chi cerca una casa per pochi giorni o settimane.
Negli ultimi giorni, le reazioni del mondo politico e degli operatori del settore non si sono fatte attendere, tra accuse di “patrimoniale mascherata” e richieste di modifica del testo prima del voto in Parlamento.
Ora che c’è anche la “bollinatura” della Ragioneria dello Stato, vediamo una piccola guida pratica per chi affitta casa a breve termine.
Cos’è la cedolare secca e come funziona
La cedolare secca è un’imposta sostitutiva che consente ai proprietari di immobili abitativi di pagare un’aliquota fissa in sostituzione di IRPEF, addizionali e imposta di registro.
Per le locazioni brevi (durata non superiore a 30 giorni), la cedolare secca è stata finora del 21%, applicabile anche ai contratti stipulati tramite portali online o agenzie immobiliari.
Il regime è stato introdotto nel 2011 (D.Lgs. 23/2011) per semplificare la tassazione degli affitti e incentivare l’emersione del nero. Ma con la nuova manovra, le regole cambiano.
Le novità della Legge di Bilancio 2026
La bozza iniziale della manovra prevedeva un aumento generalizzato della cedolare secca al 26% per tutti gli affitti brevi.
Dopo le proteste di Forza Italia e le dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini, il governo ha rivisto parzialmente la misura.
Nella versione bollinata dalla Ragioneria dello Stato, l’aliquota resta al 21% solo se il contratto non viene stipulato tramite intermediari o portali telematici (come Airbnb, Booking o agenzie).
In tutti gli altri casi, l’aliquota salirà al 26%.
In sintesi:
- 21% se il proprietario affitta direttamente, senza portali
- 26% se l’affitto avviene tramite piattaforme o agenzie
Un distinguo che, secondo gli operatori, riguarda quasi la totalità delle locazioni brevi reali.
Perché la misura fa discutere
L’AIGAB (Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi), che rappresenta oltre 800 operatori, ha definito la norma “una patrimoniale mascherata”.
Secondo l’associazione, “tutti i contratti di locazione breve passano da portali o intermediari online”, quindi l’aliquota al 21% resterebbe solo sulla carta.
Il presidente Marco Celani ha spiegato che per un proprietario che guadagna 25.000 euro l’anno, il passaggio dal 21% al 26% significa 1.300 euro in più di imposte, senza contare i costi aggiuntivi:
- 15-20% di commissioni ai portali;
- 10% per pulizie e manutenzione;
- tassa di soggiorno fino a 7 €/notte;
- utenze e spese varie non deducibili.
“Con una fiscalità così aggressiva molti rinunceranno a mettere casa sul mercato – avverte Celani – Ciò ridurrà l’offerta e farà salire i canoni“.
La mezza retromarcia del governo
La protesta era partita da Forza Italia, che aveva annunciato che non avrebbe votato la misura definendola “iniqua e penalizzante per i piccoli proprietari”.
Salvini, a ruota, aveva dichiarato che “l’aumento non ci sarà alla base o in Parlamento”, spingendo il governo a inserire una clausola di salvaguardia nella versione definitiva.
Tuttavia, la modifica non ha placato le polemiche. Anche all’interno della maggioranza si registrano perplessità sull’opportunità di introdurre una tassa che rischia di ridurre il numero di immobili disponibili per affitti temporanei.
L’economia degli affitti brevi: un settore chiave da 33 miliardi
Secondo il Centro Studi AIGAB, il mercato degli affitti brevi in Italia genera ogni anno:
- 8,2 miliardi di euro di canoni diretti,
- 32,9 miliardi di indotto,
- con oltre 30.000 operatori e 150.000 addetti.
Il 96% delle case online appartiene a privati cittadini, spesso famiglie che affittano un immobile ereditato o lo usano per integrare il reddito.
Con l’aumento della tassazione, molti di questi piccoli locatori potrebbero uscire dal mercato, provocando:
- un aumento dei canoni per gli affitti brevi;
- una riduzione delle disponibilità di alloggi per studenti, lavoratori in trasferta e turisti;
- e, secondo alcuni analisti, una possibile crescita del mercato nero.
Effetti collaterali: più tasse, meno case e rischio sommerso
Il rischio principale è che l’aumento della cedolare secca spinga parte dei proprietari verso l’evasione. La cedolare, infatti, era stata introdotta proprio per far emergere gli affitti in nero.
Se il vantaggio fiscale viene meno, alcuni potrebbero tornare a stipulare contratti informali o lasciare gli immobili vuoti.
Anche sul piano sociale, l’impatto potrebbe essere rilevante: con meno disponibilità di alloggi temporanei, i canoni potrebbero aumentare anche per studenti e lavoratori che necessitano di soluzioni flessibili.
Cosa cambia per i proprietari
- Verificare come vengono stipulati i contratti: se tramite portali, l’aliquota sale al 26%.
- Valutare la convenienza del regime cedolare rispetto all’IRPEF ordinaria (che in alcuni casi può essere più bassa).
- Monitorare le evoluzioni della norma in Parlamento: la misura potrebbe subire ulteriori modifiche.
FAQ – Domande frequenti sulla cedolare secca 2026
➡️ Posso applicare la cedolare secca se affitto tramite Airbnb o Booking?
Sì, ma l’aliquota prevista dalla manovra sale al 26% se l’affitto passa da portali o intermediari.
➡️ Cosa succede se affitto direttamente a un conoscente o con contratto privato?
In questo caso resta applicabile l’aliquota al 21%, purché il contratto sia registrato e rispetti i limiti delle locazioni brevi (max 30 giorni).
➡️ Conviene ancora la cedolare secca con l’aumento al 26%?
Dipende dal reddito complessivo. Per redditi bassi, la tassazione ordinaria IRPEF (23%) può risultare più favorevole.
➡️ Quando entra in vigore la nuova aliquota?
La misura è contenuta nella bozza della Legge di Bilancio 2026 e dovrà essere approvata dal Parlamento entro fine anno.
➡️ Perché si parla di rischio “nero”?
Perché l’aumento dell’aliquota riduce la convenienza del regime semplificato, spingendo alcuni proprietari a eludere la registrazione dei contratti.