L'ANALISI

Coi nuovi dazi gli Usa hanno incassato +30 miliardi (soprattutto a scapito dell’Europa)

Il rovescio della medaglia è significativo. Le tariffe del 2025 aumentano infatti il livello generale dei prezzi dell’1,3% a breve termine

Coi nuovi dazi gli Usa hanno incassato +30 miliardi (soprattutto a scapito dell’Europa)

Gli Stati Uniti stanno vivendo il livello di protezionismo commerciale più alto degli ultimi novant’anni. Secondo le ultime stime del The Budget Lab (TBL), aggiornate al 17 ottobre 2025, il tasso tariffario effettivo medio affrontato dai consumatori americani ha raggiunto il 18,0% prima dei cambiamenti di consumo e il 17,0% dopo gli aggiustamenti del mercato — livelli che non si vedevano dal 1934-1936. L’impatto di questa politica è profondo: sul piano fiscale, macroeconomico e distributivo.

Europa una delle principali fonti di incasso

Il TBL stima che tutte le tariffe statunitensi introdotte fino al 2025 genereranno oltre 2,5 trilioni di dollari di entrate aggiuntive tra il 2026 e il 2035. Anche tenendo conto della minore crescita economica che ne deriva, le entrate “dinamiche” resterebbero nell’ordine dei 2 trilioni di dollari. Si tratta di cifre enormi, che spiegano perché l’amministrazione statunitense possa vantare un forte aumento del gettito doganale.

Una parte rilevante di questo incremento arriva dalle tariffe imposte sui beni europei. L’anno in corso ha visto l’introduzione o l’aumento di dazi specifici nei confronti dell’Unione Europea, del Regno Unito e del Giappone, in particolare nei settori del mobile, dei prodotti di legno e dell’arredamento. Secondo il rapporto, i proclami ufficiali hanno reso note le tariffe differenziate per paese che fino a settembre non erano pubbliche: nel caso dell’UE, i tassi medi attuali sono del 25% sui mobili e sui prodotti di arredamento, con aumenti già programmati al 50% e 30% a partire da gennaio 2026.

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Sebbene il documento TBL non quantifichi direttamente quanto del gettito tariffario provenga dall’Europa, i dati commerciali più recenti indicano che le importazioni statunitensi dall’UE valgono oltre 600 miliardi di dollari l’anno. Anche solo un tasso tariffario medio effettivo del 4-5% su questa porzione di scambi equivarrebbe a circa 25–30 miliardi di dollari di entrate annuali, rendendo plausibile l’idea che l’Europa rappresenti una delle principali fonti di incasso tariffario per Washington nel 2025.

Effetti economici: crescita più bassa e prezzi più alti

Il rovescio della medaglia è significativo. Le tariffe del 2025 aumentano il livello generale dei prezzi dell’1,3% a breve termine, equivalenti a una perdita media di 1.800 dollari per famiglia americana. Dopo gli aggiustamenti di consumo, la perdita resta comunque di 1.500 dollari per nucleo familiare. L’effetto è regressivo: il peso maggiore grava sui redditi più bassi, per cui il costo medio delle tariffe è pari a oltre il 2,7% del reddito disponibile, contro lo 0,8% dei redditi più alti.

Anche la crescita ne risente. Il TBL stima che il PIL reale sarà 0,5 punti percentuali più basso nel 2025 e nel 2026, con una perdita permanente di 0,4% del PIL (circa 125 miliardi di dollari all’anno ai prezzi del 2024). Sul mercato del lavoro, si prevede un aumento della disoccupazione di 0,3 punti percentuali entro fine 2025 e di 0,7 punti entro il 2026, pari a circa 490.000 posti di lavoro in meno.

I settori più colpiti (e quelli che guadagnano)

Il settore manifatturiero statunitense, obiettivo dichiarato della politica tariffaria, risulta uno dei pochi vincitori relativi: la produzione aumenta del 2,5% nel lungo periodo. Tuttavia, questo guadagno è più che compensato dalle contrazioni in altri comparti: costruzioni (-3,8%), agricoltura (-0,3%) ed estrazione mineraria (-1,6%). L’espansione del manifatturiero avviene dunque a scapito del resto dell’economia.

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Il settore manifatturiero statunitense, obiettivo dichiarato della politica tariffaria, risulta uno dei pochi vincitori relativi

Dal punto di vista dei consumatori, gli aumenti di prezzo più forti riguardano metalli, pelle, abbigliamento e automobili: tra il 28% e il 40% a breve termine per alcuni beni, stabilizzandosi su livelli 10-14% più alti nel lungo periodo. Anche i veicoli a motore subiscono rincari medi del 9% a breve termine, equivalenti a circa 4.500 dollari in più sul prezzo di un’auto nuova.

Impatto globale: Europa quasi indenne, ma non neutrale

Paradossalmente, mentre l’economia statunitense rallenta, alcuni partner commerciali beneficiano indirettamente delle nuove barriere. Secondo il TBL, l’economia dell’Unione Europea risulta 0,05 punti percentuali più grande a lungo termine rispetto allo scenario senza dazi, grazie alla riallocazione dei flussi commerciali globali. Il Regno Unito, forte del proprio accordo bilaterale con Washington, guadagna quasi 0,2 punti percentuali di PIL.

Ciò non significa però che i produttori europei non paghino dazio: in diversi comparti – in particolare legno, mobili e prodotti metallici – gli esportatori dell’UE affrontano tariffe statunitensi tra il 25% e il 50%. L’effetto netto per i bilanci pubblici americani è positivo: miliardi di dollari aggiuntivi ogni mese entrano nel Tesoro grazie alle imposte doganali sui beni europei, ma al costo di prezzi interni più alti e di una crescita complessiva più debole.