Sette minuti e dodici secondi. Tanto è durato il dialogo che ha salvato la vita a una ragazza di 19 anni di Varese (Lombardia), aggredita dall’ex fidanzato a bordo di un autobus e soccorsa in extremis grazie al sangue freddo degli operatori della Polizia di Stato. Un salvataggio in diretta, registrato in un audio diffuso dal ministero dell’Interno, che ha difatti evitato un probabile nuovo caso di femminicidio.
La chiamata che ha salvato la 19enne
Martedì 14 ottobre 2025, nel tardo pomeriggio, la giovane ha telefonato in lacrime a un amico raccontandogli di essere stata picchiata dal suo ex compagno, un uomo di 45 anni con precedenti per droga e già denunciato da lei per revenge porn. I due erano appena saliti su un pullman, ma la ragazza non sapeva dire dove fosse diretto.
L’amico ha subito chiamato la polizia, fornendo il nome della giovane. Dalla sala operativa della Questura di Varese, un agente è riuscito a rintracciare il numero di cellulare della 19enne e a contattarla.
“Pronto, è la polizia. Lui è lì con te? Dimmi solo sì o no”, le chiede il poliziotto. “Sì”, risponde lei, la voce rotta dal pianto.
Finisce l’incubo per una 19enne perseguitata dal suo ex a Varese. Dopo l’ennesima aggressione, un amico della giovane ha allertato la Polizia di Stato segnalando che la ragazza, appena picchiata, si trovava su un autobus con l’uomo. Gli agenti sono riusciti a rintracciare e… pic.twitter.com/AuGMobHqr1
— Il Viminale (@Viminale) October 19, 2025
Da quel momento inizia una corsa contro il tempo. L’agente, restando al telefono, chiede alla ragazza di descrivere i negozi e le strade che scorrevano oltre il finestrino, cercando di individuare la posizione esatta del bus.
“Stai tranquilla, stiamo arrivando. Resta in linea con me”, la rassicura.
Pochi minuti dopo, le volanti riescono a bloccare il pullman in una rotonda di Varese. L’uomo si era nascosto tra i sedili, ma è stato individuato e arrestato.
“Quelle sirene sono per te”, le ha detto ancora l’operatore, mentre la ragazza correva verso gli agenti. “Mi ha picchiata ancora”, ha gridato.
Arrestato e subito rimesso in libertà
Il 45enne è stato arrestato in flagranza di reato per atti persecutori, ma dopo 48 ore è tornato libero. Il gip del tribunale di Varese, Alessandro Chionna, ha convalidato l’arresto applicando la misura del divieto di avvicinamento: l’uomo non potrà avvicinarsi a meno di 500 metri dalla ex compagna e dai luoghi da lei frequentati, pena la custodia cautelare in carcere.
Durante l’udienza, l’uomo si è avvalso della facoltà di non rispondere.
La decisione del giudice ha suscitato dure reazioni. Il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha definito “assurdo” che un aggressore già denunciato per revenge porn e arrestato in flagranza sia tornato libero dopo appena due giorni.
“È fondamentale che le vittime denuncino, ma serve anche che il sistema sia in grado di proteggerle davvero”, ha dichiarato.
A Bergamo si continua a indagare sul femminicidio di Pamela Genini
Il caso di Varese arriva a pochi giorni dal femminicidio di Pamela Genini, la 29enne uccisa a Milano dal compagno Gianluca Soncin. Anche lei aveva denunciato violenze in passato.
Oggi la Procura di Bergamo indaga su quanto accaduto un anno fa: il 4 settembre 2024, Pamela si era presentata al pronto soccorso di Seriate con lesioni compatibili con un pestaggio. Nel referto medico si parlava di calci alla testa, trascinamenti per i capelli e la frattura di un dito. In ospedale la donna aveva raccontato di essere stata aggredita proprio da Soncin e di temere per la sua vita.

I carabinieri di Seriate avevano trasmesso una relazione ai colleghi di Cervia, dove viveva l’uomo, ma quella segnalazione — secondo quanto emerge ora — non sarebbe mai arrivata in Procura. Nessun fascicolo fu aperto. Il procuratore capo di Bergamo, Maurizio Romanelli, ha disposto accertamenti per capire dove si sia inceppato il meccanismo:
“Se anche le procedure sono state rispettate, qualcosa evidentemente non ha funzionato”, ha dichiarato.
Ombre anche sulla figura di Soncin. Secondo quanto riportato da Prima Vicenza, l’uomo raccontava di lavorare ad Arzignano, in provincia di Vicenza, in una azienda della concia, del genitore. Della azienda, però, non sapeva dire il nome alla Pubblico Ministero che glielo chiedeva, né nel vicentino sembrano sapere di chi si tratti.
Diverse sono le domande cui gli investigatori vorrebbero poter rispondere, tra queste anche il fatto di capire di cosa viveva il 52enne, dato che sembrava condurre una esistenza nel lusso spacciandosi per grande imprenditore.