La notte di sabato 12 ottobre 2025, nel cuore della movida palermitana, è stato ucciso Paolo Taormina, 21 anni, colpito a morte da un proiettile mentre tentava di sedare una rissa nei pressi del Teatro Massimo.
Pochi giorni prima, a centinaia di chilometri di distanza, a Casalserugo (Padova), due ragazzi di 23 anni venivano accoltellati per lo stesso motivo: avevano provato a mettere fine a una lite scoppiata in un bar.
Due storie diverse, ma unite da un filo drammatico comune: la violenza cieca, l’assenza di controllo, e la punizione inflitta a chi, invece di voltarsi dall’altra parte, sceglie di intervenire per il bene degli altri.
Il caso di Palermo: Paolo Taormina, vittima di un gesto di coraggio
Paolo Taormina non era un delinquente né un provocatore. Era un ragazzo di 21 anni, figlio dei titolari del locale di Palermo davanti al quale si è consumata la tragedia. Nella notte tra sabato 11 e domenica 12 ottobre 2025, aveva notato un pestaggio in corso e si era avvicinato per difendere un coetaneo.
Secondo la ricostruzione dei carabinieri, durante il tentativo di calmare gli animi, uno dei membri del gruppo, Gaetano Marazano, 28 anni, del quartiere Zen e con precedenti per rissa e droga, avrebbe estratto una pistola e sparato a bruciapelo, colpendolo alla testa.
Il giovane, poi fermato e interrogato, ha confessato. Avrebbe dichiarato di aver reagito d’impulso per vecchi rancori legati a presunti “sfottò” verso la propria compagna, aggiungendo di portare l’arma “perché Palermo è una città violenta”.

Sul suo profilo Tik Tok -dove esibisce collane d’oro con ciondoli a forma di pistola – un’ora dopo l’omicidio ha pubblicato una foto con sottofondo musicale un passaggio dalla fiction “Il capo dei capi”, sul boss mafioso Totò Riina.
Nel capoluogo siciliano, la comunità si è stretta intorno alla famiglia della vittima. In piazza Politeama, oltre duemila persone hanno partecipato a una fiaccolata per ricordare Paolo e tutte le vittime della violenza giovanile. Tra i presenti, il sindaco Roberto Lagalla e i familiari di altri giovani uccisi in episodi analoghi.
Casalserugo: due ragazzi accoltellati mentre cercavano di evitare il peggio
Il fine settimana precedente, invece, il Veneto era stato scosso da un episodio che ha ricordato da vicino quello di Palermo. A Casalserugo, in provincia di Padova, due ragazzi di 23 anni sono stati accoltellati mentre cercavano di calmare una lite scoppiata in un bar di via Umberto I.
Come racconta Prima Padova, il gruppo responsabile dell’aggressione – tre giovani di origine nordafricana – avrebbe reagito con violenza all’intervento pacificatore, colpendo le vittime con coltelli o machete. Entrambi i ragazzi sono stati portati in ospedale, fortunatamente non in pericolo di vita.
Le forze dell’ordine hanno già identificato i sospetti grazie alle telecamere di videosorveglianza. Elisa Venturini, capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale del Veneto, ha condannato l’episodio parlando di “baby gang da fermare subito” e denunciando un clima di paura crescente nelle piccole comunità.
Il precedente di Willy Monteiro Duarte: un simbolo tradito
I fatti di Palermo e Casalserugo riportano alla mente un altro nome che l’Italia non dimenticherà mai: Willy Monteiro Duarte, il 21enne di Paliano ucciso a Colleferro in provincia di Roma nella notte tra il 5 e il 6 settembre 2020. Anche lui aveva solo cercato di difendere un amico aggredito da un gruppo di coetanei. Anche lui, come Paolo, ha pagato con la vita il prezzo del coraggio.
Cinque anni dopo, la scena si ripete con drammatica precisione. Cambiano le città, cambiano gli aggressori, ma il copione resta lo stesso: un gesto di altruismo si trasforma in tragedia.
“È la normalizzazione della violenza – spiegano molti sociologi – Un riflesso culturale che trasforma la sopraffazione in linguaggio, e la forza in misura del rispetto”.
Grave dopo la festa rionale
Sempre in Veneto, una serata di festa a Sernaglia della Battaglia, in provincia di Treviso, sabato 11 ottobre 2025, è degenerata in una violenta rissa in cui è rimasto gravemente ferito un 39enne.
Come racconta Prima Treviso, durante i festeggiamenti rionali in via Chiesa, una lite tra tre persone (un 62enne di Pederobba e due 39enni della zona di Montebelluna) è degenerata in un’aggressione che ha lasciato a terra uno dei partecipanti.
Secondo quanto accertato dai Caabinieri, il diverbio, nato per futili motivi e probabilmente esasperato dall’abuso di alcol, è sfociato in una colluttazione. Nel corso dello scontro, un 39enne di Caerano San Marco, è stato colpito al volto e, nella caduta, ha battuto la testa riportando gravi traumi.
Si trova al momento ricoverato in prognosi riservata, ma non in pericolo di vita.
Una società che applaude i coraggiosi solo dopo che muoiono
C’è qualcosa di profondamente distorto nel fatto che chi tenta di fermare la violenza finisca per diventarne vittima.
Eppure, in un Paese che ricorda con fiaccolate i suoi ragazzi migliori, la domanda resta sospesa: che cosa facciamo, concretamente, per impedire che accada di nuovo?
Non si tratta solo di “baby gang” o criminalità giovanile. Questi episodi rivelano una deriva culturale profonda: la perdita del rispetto, l’assenza di empatia, la trasformazione del conflitto in spettacolo e della violenza in linguaggio quotidiano.
Le risse e gli atti di bullismo ripresi con lo smartphone e diffusi nelle chat, la rabbia come strumento di affermazione, la paura come reazione istintiva: tutti segnali di una società che non riesce più a educare al limite, alla convivenza e al valore della vita umana.
Perché non bastano le telecamere oppure l’inasprimento delle pene. Serve una risposta educativa e culturale, che parta dalle scuole e, prima ancora, dalle famiglie, per restituire senso alle parole rispetto, empatia, responsabilità.