È arrivata ieri, 29 settembre 2025, la sentenza di primo grado per Christian Sodano, il finanziere di 28 anni accusato del duplice femminicidio che il 13 febbraio 2024 sconvolse Cisterna di Latina. La Corte d’Assise del tribunale, presieduta dal giudice Gian Luca Soana, lo ha condannato all’ergastolo con un anno di isolamento diurno, accogliendo la richiesta dell’accusa formulata dai pubblici ministeri Valerio De Luca e Marina Marra.

Dopo oltre due ore di camera di consiglio, i giudici hanno escluso la premeditazione ma riconosciuto l’aggravante dei motivi abietti e futili. Secondo la procura, l’azione di Sodano fu guidata dalla volontà di infliggere dolore alla sua ex compagna, Desirée Amato, colpendone gli affetti più cari.
“Due morti annunciate”
Durante il processo, i magistrati hanno ricostruito il contesto in cui maturò la tragedia. Sodano, maresciallo della Guardia di Finanza in servizio a Ostia, viveva una relazione tormentata con Desirée, decisa a interrompere il legame. Già mesi prima del massacro, aveva inviato messaggi minatori:
“Mi dovranno fermare con l’esercito, faccio una strage” e ancora “Soffrirai come ho sofferto io”.
Per la pm Marina Marra, le vittime erano “due morti annunciate”, mentre l’imputato venne descritto come un esecutore “freddo e chirurgico”. L’obiettivo non era la giovane fidanzata, che riuscì a salvarsi, ma sua madre e sua sorella.
La strage in casa Amato
Quel 13 febbraio, nel quartiere San Valentino, Sodano entrò nell’abitazione della famiglia Amato. Desirée è riuscita a fuggire, mentre la madre, Nicoletta Zomparelli, 47 anni, e la sorella, Renée, 19 anni, sono state uccise senza scampo.
Davanti all’ennesima lite Sodano ha estratto la pistola e ha minacciato la sua ex. Desirée alla vista dell’arma la ragazza si è chiusa in bagno, attirando con le sue grida la madre e la sorella. Le due hanno cercato di interporsi, ma Sodano, ha raccontato la ragazza, non ha esitato e ha sparato alle due donne. Quindi si è diretto verso il bagno sfondando la porta. Ma Desirée è riuscita a fuggire ancora, rifugiandosi nella camera della sorella da dove si è lanciata dalla finestra per nascondersi dietro una legnaia. Da lì ha sentito i due colpi di pistola con i quali Sodano ha dato il colpo di grazia alla sorella.

La giovane, sotto choc, è riuscita a raggiungere il benzinaio poco distante e chiedere aiuto. Mentre l’ex, ha rinunciato a cercarla e si è diretto con la sua auto a Latina, nella sua abitazione nel quartiere Q4. Quando gli agenti lo hanno raggiunto lo hanno trovato affacciato alla finestra, con l’arma abbandonata sul divano. Non ha opposto resistenza e ha ammesso da subito le sue responsabilità.
Le parti civili
Al processo si sono costituite cinque parti civili: Desirée Amato, assistita dall’avvocata Chiara Fagiolo; il padre Giuseppe Amato, rappresentato dal legale Marco Fagiolo; i familiari di Nicoletta Zomparelli, difesi dall’avvocato Oreste Palmieri; il Comune di Cisterna, con il sindaco Valentino Mantini, seguito dall’avvocato Nicodemo Gentile; e l’associazione “Insieme a Marianna”, rappresentata dall’avvocata Benedetta Manasseri.
Le parole dell’imputato
Prima della sentenza, Sodano ha preso la parola in aula per rilasciare dichiarazioni spontanee:
“Non so nemmeno se le mie parole possono bastare a far capire quanto dolore provo per quello che è successo. Quello era un periodo non facile della mia vita: ho dedicato tutto me stesso nell’amore per Desirée, ed è diventato quasi una dipendenza. Appena fidanzato mi sono tatuato il suo nome al centro del petto e, poco dopo, il suo volto sulla gamba. Con la sua famiglia ero felice e avevo anche ricominciato a festeggiare il Natale. Questo da una parte mi rendeva felice, ma dall’altra mi indeboliva, perché vedevo Desirée come il centro del mio mondo, trascurando le amicizie. Ora a causa mia sono venute a mancare due persone a cui tenevo veramente”.
La difesa e la condanna
Gli avvocati Lucio Teson e Leonardo Palombi avevano tentato di smontare l’accusa di premeditazione, puntando a un quadro psicologico complesso dell’imputato. La Corte, pur accogliendo la richiesta di ergastolo avanzata dalla procura, ha infatti escluso l’aggravante della premeditazione, riconoscendo però la crudeltà dei motivi.
La sentenza chiude così il processo di primo grado, ma resta l’impatto profondo sulla città e sulla provincia di Latina, che hanno visto in quella tragedia un simbolo della necessità di maggiori tutele per le donne esposte a situazioni di rischio.