Donald Trump, ha annunciato di essere “molto vicino a un accordo che metterà fine alla guerra a Gaza e riporterà a casa gli ostaggi”.
Le sue parole, pronunciate a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite mentre Benjamin Netanyahu prometteva di proseguire la guerra “fino alla distruzione di Hamas”, riaccendono l’attenzione su un piano di pace in 21 punti che l’amministrazione statunitense ha condiviso con i leader arabi.
Intanto, come scritto dal quotidiano Haaretz, “Hamas ha accettato in linea di principio il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump“.
Il piano di Trump in 21 punti
Secondo quanto riportato dalla Cnn e da altre testate internazionali, la proposta prevede il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani entro 48 ore dalla firma dell’accordo in cambio di un ritiro graduale delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza. Il documento, discusso a New York con diversi leader arabi e islamici, non stabilisce una tempistica precisa per il ritiro, ma include clausole significative:
- nessuno sfollamento forzato da Gaza;
- esclusione di Hamas da qualsiasi ruolo politico futuro;
- garanzia che Israele non attaccherà più il Qatar;
- impegno degli Stati Uniti a impedire l’annessione della Cisgiordania.
Inoltre, il piano contempla la liberazione di un numero compreso tra 100 e 200 prigionieri palestinesi, un’amnistia in cambio del disarmo di Hamas e la rimozione delle sue armi da parte di una forza araba internazionale.
Governance transitoria e ruolo di Tony Blair
Il progetto immagina una governance a due livelli per la fase successiva al cessate il fuoco: prima un organismo internazionale con il sostegno delle Nazioni Unite, poi un comitato palestinese che amministrerebbe la Striscia in vista di un futuro trasferimento di poteri all’Autorità nazionale palestinese “riformata”.
Tra le ipotesi trapelate, la più discussa è quella di affidare a Tony Blair – ex premier britannico e partner storico di Washington – il ruolo di governatore pro tempore di Gaza. Blair guiderebbe una Autorità Internazionale di Transizione (GITA) con sede inizialmente ad al Arish, in Egitto, sotto egida Onu e con la protezione di una forza multinazionale a maggioranza araba. Una prospettiva che richiama, non senza polemiche, il passato coloniale dei mandati britannici nella regione.

Il piano prevede la ricostruzione di Gaza in cinque anni attraverso una coalizione internazionale, l’ingresso immediato e senza restrizioni degli aiuti umanitari sotto gestione Onu e la creazione di una forza di sicurezza palestinese sotto supervisione araba e internazionale. La Gaza Humanitarian Foundation, spesso contestata da Israele, verrebbe chiusa.
Ottimismo di Trump, cautela internazionale
“Stiamo conducendo negoziati ispirati e costruttivi con i Paesi del Medio Oriente”, ha scritto Trump sul suo social Truth. “Tutti sono entusiasti di lasciarsi alle spalle questo periodo di morte e oscurità. È un onore far parte di questa negoziazione. Dobbiamo riportare a casa gli ostaggi e ottenere una pace permanente e duratura”.
Il presidente degli Stati Uniti ha aggiunto di aver parlato con Netanyahu e con “tutti i leader della regione”, inclusi i mediatori del Qatar. Netanyahu sarà ricevuto alla Casa Bianca lunedì – 29 settembre 2025 – per discutere i dettagli del piano.
Nonostante l’ottimismo americano, in Europa e nel mondo arabo prevale cautela: alcuni leader ritengono difficile che Israele accetti un ritiro reale, mentre resta incerta la disponibilità di Hamas a disarmare in cambio di garanzie internazionali.
Una novità significativa arriva dall’Iran: il presidente Masoud Pezeshkian, pur avendo sostenuto Hamas, ha dichiarato di “supportare con tutto il cuore qualsiasi cessate il fuoco a Gaza” e un accordo che “possa salvare vite umane e impedire che donne e bambini soffrano la fame”.