La manovra di bilancio entra nella fase decisiva. L’aggiornamento dei conti economici pubblicato dall’Istat il 22 settembre 2025 offre infatti la cornice dentro cui il governo dovrà muoversi per impostare la legge di bilancio.
Numeri su Pil, deficit e debito non sono soltanto una fotografia del recente andamento dell’economia italiana, ma incidono in modo diretto sulle possibilità di spesa del prossimo anno.
È su questa base che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e la maggioranza dovranno definire le misure cardine della manovra: riduzione dell’Irpef per il ceto medio e una nuova pace fiscale, con la Lega in pressing per la “Rottamazione quinques”.
Giancarlo #Giorgetti: “Il successo di questo governo è dovuto al fatto che sta tagliando gli sprechi. L’obiettivo è ridurre il carico fiscale e arrivare alla pace con i contribuenti”.#Pontida25 #senzapaura pic.twitter.com/0OMzXJtBaA
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) September 21, 2025
Il governo guarda a questi dati con ottimismo.
“Sono sicuramente positivi e dimostrano che lavorare bene e con prudenza premia sempre”, ha dichiarato il viceministro all’Economia Maurizio Leo, rispondendo ai giornalisti a margine della presentazione del rapporto annuale del Demanio alla Camera.
I numeri dell’Istat
L’Istat ha diffuso la revisione dei principali indicatori economici italiani per il 2023 e il 2024. Le novità sono rilevanti: per il 2023, il Pil è cresciuto dell’1% e non dello 0,7% come inizialmente stimato; per il 2024, la crescita si conferma allo 0,7%, come già calcolato a marzo scorso.
Il fatto che la stima del 2024 non sia stata rivista al rialzo nonostante la sorpresa positiva sul 2023 significa che l’andamento italiano era stato sottostimato.
Sul fronte dei conti pubblici, i dati aggiornati segnano un miglioramento sostanziale: il debito pubblico passa dal 135% al 134,9% del Pil, ma risulta in aumento rispetto al 2023, quando era al 133,9%, per effetto della crescita più lenta del Pil e di un incremento nominale del debito (da 2.869 a 2.966 miliardi di euro).
Il rapporto deficit/Pil scende dal 3,5% al 3,4%, quasi allineato con il parametro europeo del 3%; l’avanzo primario viene confermato allo 0,5% del Pil, pari a circa 11 miliardi di euro di entrate in più rispetto alle spese al netto degli interessi sul debito.
Proprio il deficit segna la variazione più significativa: in dodici mesi il disavanzo è passato dal 7,2% al 3,4% del Pil, cioè da 153 miliardi a 73 miliardi. Non accadeva dal 2019 che l’Italia registrasse un avanzo primario positivo, anche se allora si attestava intorno all’1,5% del Pil.
Nel 2024 Deficit/Pil al 3,4%. Crescita Pil +0,7%, invariata rispetto alla stima di marzo. Per il 2023, Pil rivisto al rialzo: +1% da +0,7% stimato a marzo. Pressione fiscale in aumento: +1 punto, torna ai livelli del 2020
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— Istat (@istat_it) September 22, 2025
Per l’esecutivo questi dati rappresentano un punto di forza in vista della manovra: dopo il miglioramento del rating da parte di Fitch a BBB+, la riduzione del deficit e il ritorno all’avanzo primario alimentano la possibilità di spazi di intervento senza compromettere l’equilibrio dei conti.
Le misure in discussione
La manovra che arriverà in Parlamento il 20 ottobre 2025 si giocherà attorno a due pilastri: la riduzione delle aliquote Irpef per il ceto medio e la nuova pace fiscale. Le due misure, secondo le stime, avrebbero un costo complessivo di circa 4 miliardi: almeno 2,5 per l’Irpef (a seconda delle fasce interessate) e tra 1,5 e 2 miliardi per la rottamazione delle cartelle.
Dal palco di Pontida, il ministro Giorgetti ha ribadito con forza questa impostazione:
“Il nostro obiettivo è quello di ridurre il carico fiscale e arrivare anche alla pace con i contribuenti. Non ci dimentichiamo gli impegni e le promesse che abbiamo fatto. Ogni euro che spendiamo è un euro che deve essere chiesto in termini di tasse ai nostri cittadini: la responsabilità ci impone di essere molto rigorosi su come si spendono i soldi e il successo di questo governo è stato quello di ridurre gli sprechi”.
Giorgetti ha insistito sul fatto che il governo si muove in modo “responsabile”, con l’ambizione di portare avanti entrambe le misure pur consapevole del loro costo. Una convinzione rafforzata dalla recente promozione di Fitch e dalla speranza che la Bce allenti la stretta sui tassi d’interesse, alleggerendo la spesa per il servizio del debito.
Il ministro ha respinto l’idea di un “tesoretto” da spendere liberamente:
“Il tesoretto da spendere non c’è. Possiamo fare le cose che se lo spread fosse rimasto a 250 non avremmo potuto fare. Dopodiché il timone lo so manovrare. Quindi la rotta ce l’ho precisa”.
E ancora:
“Credo semplicemente che tutta questa disciplina contabile di finanza pubblica sia finalizzata a ridurre il carico fiscale agli italiani, non ad aumentare la spesa a destra e manca. È per questo motivo che questa è la priorità del governo, non semplicemente una promessa elettorale. Non sono abituato a fare promesse, non ne faccio normalmente, le faccio con i risultati. Quindi, confido di portare dei risultati in questo senso”.

Sul miglioramento del rating ha scherzato:
“Lo incassa il Paese, lo incassano le imprese, i cittadini e, ahimè, anche le banche. È il frutto di un lavoro. Si fanno i compiti a casa, dobbiamo dimostrare i progressi sulla finanza pubblica e l’economia e finalmente ci viene riconosciuto. Lo testimonia anche l’andamento dello spread che si è drasticamente ridotto”.
Salvini e il contributo delle banche
Il vicepremier Matteo Salvini, sempre da Pontida, ha insistito sull’idea di un contributo straordinario degli istituti di credito:
“Sono sicuro che le banche italiane daranno il loro contributo per aiutare chi non ce la fa. Banche che l’anno scorso hanno guadagnato più di 46 miliardi. Non penso che se invece di guadagnare 46 miliardi per poi distribuire dividendi da centinaia di milioni ne guadagneranno di meno, qualcuno nei palazzi del potere e della finanza avrà difficoltà a fare la spesa. Aiutare i deboli è una priorità”.
Alle parole di Salvini ha fatto eco Giorgetti:
“Visto quello che guadagnano, le banche non hanno motivo di essere preoccupate. Una volta ho parlato di un pizzicotto e qualcuno l’ha presa male, ma a casa mia i pizzicotti erano anche qualcosa di affettuoso, non esattamente uno sberlone. L’Italia è un sistema: se c’è coerenza, coesione e cooperazione tra le istituzioni possiamo fare tante cose. Lo standing del sistema bancario italiano è migliorato anche per merito del governo. Chi opera nel sistema bancario immagina che contributo potrà dare. Siccome sono persone intelligenti…”.
L’uscita dalla procedura Ue
Sul fronte europeo, il governo coltiva un obiettivo di rilievo: uscire già nel 2025 dalla procedura per deficit eccessivo, con un anno di anticipo rispetto agli impegni. Questo rafforzerebbe la credibilità dell’Italia e consentirebbe di negoziare deroghe ai vincoli sulla spesa primaria netta per investimenti in difesa e sicurezza.
Le proposte di Leo per il ceto medio
Il viceministro Maurizio Leo, negli scorsi giorni, aveva precisato i possibili contorni del taglio Irpef:
“Il ceto medio è una priorità avvertita da tutti e ci si vuole muovere soprattutto nella fascia da 28mila a 50mila euro, portando l’aliquota dal 35% al 33%, ed eventualmente fino ai 60mila euro. Sappiamo che questo interesserebbe 13,6 milioni di contribuenti. È una misura che si muove sulla falsa riga di quanto già fatto per i redditi medio-bassi”.

Leo ha aggiunto:
“È una delle tematiche particolarmente a cuore, a cui si può aggiungere un meccanismo di rivalutazione e rivisitazione delle detrazioni in relazione alla composizione del nucleo familiare. Sono temi che vanno trattati congiuntamente”.
Il viceministro ha infine aperto a interventi sull’Ires premiale:
“Penso che si possa lavorare per fare degli interventi migliorativi, come pure verificare alcune precondizioni che attengono, ad esempio, ai dipendenti e alla cassa integrazione. Sono affinamenti che si possono fare e che penso formeranno oggetto di approfondimento da parte del governo”.