Vicenda chiusa

Strage Mottarone, nessuno andrà in carcere. Il processo si chiude con tre patteggiamenti e due prosciolti

La mamma di una delle 14 vittime: "Questo è il valore che danno alla vita delle persone"

Strage Mottarone, nessuno andrà in carcere. Il processo si chiude con tre patteggiamenti e due prosciolti

Prosciolti i due dirigenti di Leitner (Martin Leitner e Peter Rabanser), patteggiamento a quattro anni e 5 mesi per Gabriele Tadini, il capotecnico che ha confessato di avere materialmente inserito i forchettoni nel sistema frenante; tre anni e 10 mesi per Luigi Nerini, titolare della società concessionaria; tre anni e 11 mesi per Enrico Perocchio, direttore tecnico della funivia.

A quasi quattro anni e mezzo dalla tragedia si è chiuso (a meno di improbabili ricorsi in Cassazione) il processo per l’incidente della funivia del Mottarone, in cui morirono 14 persone.

Processo funivia Mottarone: due prosciolti e tre patteggiamenti

Era il 23 maggio 2021, una data che resterà per sempre segnata nella storia del nostro Paese. Poco prima di mezzogiorno, durante la salita verso la stazione di monte, la fune traente che trainava la cabina della funivia Stresa-Mottarone si spezzò.

Il veicolo, con a bordo quindici persone, scivolò indietro lungo il cavo portante, urtando un pilone e infine precipitando nel bosco. L’impatto fu devastante: quattordici persone persero la vita, mentre solo un bambino di cinque anni, Eitan Biran, se la cavò, riportando gravi ferite.

 

Le indagini hanno poi rivelato un quadro inquietante. Il freno di emergenza, che avrebbe dovuto bloccare la cabina in caso di guasto, era stato volutamente disattivato tramite l’inserimento di un dispositivo chiamato “forchetta”. Questa scelta, dettata dal tentativo di evitare continui blocchi della funivia, ha avuto conseguenze fatali: senza freno, la cabina non ha potuto arrestarsi dopo la rottura della fune.

La Procura di Verbania aveva aperto un’inchiesta che aveva portato al rinvio a giudizio di diversi responsabili della gestione e della manutenzione dell’impianto, accusati di disastro colposo, omicidio colposo, lesioni e attentato alla sicurezza dei trasporti. 

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La decisione del giudice

In conclusione dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Verbania, il giudice Gianni Macchioni ha letto la sua decisione, accolta con favore anche dalla Procura di Verbania, che riteneva che un dibattimento avrebbe richiesto troppo tempo e non avrebbe portato a risultati più soddisfacenti, come ha dichiarato il procuratore Alessandro Pepè.

“Non è stata una decisione facile, ma aderire ora a una definizione riteniamo sia un modo per iniziare a ricucire una ferita che nessuna pena e nessun risarcimento potranno mai lenire. Spero che i familiari delle vittime possano non dico accettare ma comprendere. Queste proposte mettono un punto fermo in merito a ricostruzione dei fatti e responsabilità”.

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La rabbia dei familiari delle vittime

Una decisione che – come facilmente si potrà comprendere – ha lasciato molto amaro in bocca nei familiari delle vittime. A riassumere il loro stato d’animo le poche parole pronunciate da Vincenza Minutella, la mamma di Silvia Malnati, una delle quattordici persone che persero la vita nell’incidente.

“Questo è il valore che danno alla vita delle persone”.

L’avvocato Emanuele Zanalda, legale di alcuni parenti del ramo paterno di Eitan, si è detto invece soddisfatto per l’esito del procedimento, sottolineando però come non siano arrivate mai dichiarazioni di scuse da parte di Nerini.

“Dal signor Nerini non c’è mai stata una lettera di scusa ai famigliari delle vittime, questo ci lascia con un po’ di amaro in bocca. Siamo comunque soddisfatti dell’esito del processo perché c’è stata una condanna severa per le persone contro cui ci eravamo costituiti parte civile, cioè Nerini e Tadini”.