Un cessate il fuoco a Gaza non è mai sembrato così lontano, ma le diplomazie internazionali sono al lavoro per quello che verrà dopo. Al centro delle discussioni c’è il Piano Blair.
Continuano intanto le catastrofiche conseguenze dell’occupazione israeliana e cresce il bilancio delle vittime palestinesi, ma la resistenza è agguerrita, uccisi sei soldati israeliani.
In cosa consiste il “Piano Blair” per Gaza
La proposta arriva dall’ex premier britannico Tony Blair. L’avrebbe elaborata già nei primi mesi della guerra e ora sembra ricevere il pieno sostegno degli Stati Uniti.

Secondo quanto riportato dal Times of Israel, il presidente Donald Trump ha infatti autorizzato Blair a coordinare gli sforzi regionali e internazionali per la ricostruzione.
Il progetto prevede la creazione di un organismo transitorio chiamato Gaza International Transitional Authority(GITA).
Nessun trasferimento di palestinesi
Si tratterebbe di una struttura temporanea incaricata di governare l’enclave fino alla sua eventuale restituzione all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).
La GITA non prevede trasferimenti forzati della popolazione né ipotesi di pulizia etnica, scenari tremendi circolati nei mesi scorsi. Il piano include la creazione di una Property Rights Preservation Unit, un ufficio incaricato di tutelare i diritti di proprietà dei palestinesi
Qualora fossero costretti a lasciare Gaza a causa della minaccia israeliana, verrebbe così garantito loro il ritorno o il mantenimento delle abitazioni (o di quello che rimane).
“Gaza è per i suoi abitanti”
L’amministrazione transitoria coinvolgerebbe però un numero molto limitato di palestinesi, lasciando ampio spazio a potenze regionali e globali. La sicurezza sarebbe affidata a personale d’élite arabo e internazionale.
“Non abbiamo un piano per trasferire la popolazione di Gaza fuori da Gaza. Gaza è per i suoi abitanti”, ha precisato una fonte coinvolta nei negoziati.
Chi sta lavorando al futuro, compresi gli Usa, prende quindi le distanze dalle parole del ministro israeliano Bezalel Smotrich che ha definito l’enclave pochi giorni fa una miniera d’oro immobiliare da spartire con Washington.
Le intenzioni di Trump sarebbero però cambiate. Secondo l’amministrazione, il Piano Blair è anche una leva per arrivare a un cessate il fuoco stabile e a un accordo sul rilascio degli ostaggi.

“L’accordo tra i principali attori su chi governerà Gaza dopo Hamas è essenziale per porre fine ai combattimenti”, ha spiegato un funzionario statunitense.
Altri 30 palestinesi uccisi negli attacchi
Mentre nei palazzi della diplomazia si discute del futuro, a Gaza gli attacchi continuano senza tregua. I carri armati israeliani sono ormai prossimi al centro di Gaza City.
Secondo il Palestinian Central Bureau of Statistics, circa 740mila persone restano intrappolate a nord, impossibilitate a fuggire verso sud. Foto satellitari mostrano immense distese di tende improvvisate, spesso costruite sopra le macerie.
E ieri altri 30 palestinesi sono stati uccisi dai bombardamenti, mentre quattro sono morti di fame: dall’inizio della guerra, 435 le vittime accertate per malnutrizione.
Bombe di combattenti contro l’esercito israeliano
A sud, intanto, i combattenti della resistenza palestinese proseguono con il loro obiettivo, assetati di vendetta. Ieri, per esempio, hanno colpito un carro armato israeliano con un ordigno, uccidendo quattro soldati e ferendone otto.
L’azione è stata presto rivendicata dalle Brigate al-Mujahidin (coalizioni di gruppi ribelli). Ma la tensione resta altissima anche in Cisgiordania.
Camionista giordano fredda due soldati
Sempre nella giornata di giovedì 18 settembre, un camionista giordano incaricato dal suo esercito di trasportare aiuti a Gaza è sceso dal mezzo e ha ucciso due soldati israeliani, di 20 e 68 anni, a colpi d’arma da fuoco e di coltello.
L’uomo è stato ucciso dalle guardie di sicurezza e il capo di Stato maggiore israeliano Eyal Zamir ha chiesto al governo di sospendere l’ingresso degli aiuti giordani verso Gaza. Amman ha reagito con fermezza, condannando l’attacco.
“Questo attacco è una violazione del diritto internazionale, degli interessi della Giordania e della sua capacità di fornire aiuti umanitari all’enclave”.