Esplode lo scandalo di siti Internet e gruppi social destinati alla condivisione di immagini private di donne a vario titolo vicine ai singoli utenti.
Stupisce e indigna, ma secondo il movimento politico Meritocrazia Italia è certo che la rete non faccia altro che amplificare situazioni che non sono estranee al mondo reale e affidare al lato peggiore di noi uno strumento in più per esprimersi.
Se già è grave la diffusione di materiale riservato, lo è molto di più quando a compiere il gesto è una persona vicina, magari sentimentalmente legata alla vittima.
Ma dire che ‘è colpa della Rete’ significherebbe nascondere sotto il tappeto la polvere di un problema culturale che ha origini più lontane. Un fenomeno perverso come questo è dovuto al grande radicamento di una dinamica arcaica che non riconosce identità alla donna, non la riconosce libera e indipendente, e men che meno al pari livello dell’uomo. È di palmare evidenza, dunque, che ancora oggi retaggi culturali e barriere mentali fanno da padroni.
E quello a cui stiamo assistenza ne è solo un sintomo, purtroppo, tra i tanti. Se questo è, la chiusura delle piattaforme, dei siti o dei profili incriminati, per quanto doverosa, di per sé non risolve il problema. Del resto, già il giorno seguente alle restrizioni delle piattaforme online erano stati ricostituiti pressoché intatti i medesimi contenuti.
Per questo Meritocrazia Italia propone di:
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intervenire con politiche uniformi di selezione dei contenuti vietati che consentano tempi di reazione adeguati alle condotte illecite;
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regolamentare attraverso il Testo Unico Social, proposto da Meritocrazia e attualmente in esame alla Camera, le procedure di accreditamento e identificazione degli utenti per evitare che reati così aberranti siano consumati con lo scudo dell’anonimato;
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intervenire anche con progetti formativi che coinvolgano le scuole e le famiglie per consentire un soddisfacente livello di educazione emotiva e al rispetto.