Mentre centinaia di migliaia di israeliani continuano a scendere in piazza chiedendo un accordo per la liberazione degli ostaggi e la fine della guerra a Gaza, il premier Benjamin Netanyahu conferma la linea dura: nessuna tregua parziale, avanti con l’offensiva militare.
La proposta di tregua e il no di Israele
La settimana scorsa Hamas aveva accettato una proposta di cessate il fuoco, mediata da Egitto e Qatar, sulla base di un’iniziativa americana: 60 giorni di tregua e il rilascio degli ostaggi israeliani in due fasi. Ma nella prima riunione del gabinetto di sicurezza a pieno organico dopo l’annuncio, il governo israeliano non ha neanche discusso l’ipotesi.
Secondo i media locali, Netanyahu ha spiegato che prenderà in considerazione solo una “soluzione globale” e non un accordo parziale. La riunione si è chiusa dopo meno di tre ore senza un voto e con un rinvio a domenica prossima. Poco dopo, molti ministri hanno preso parte a un banchetto in Cisgiordania con i leader dei coloni, tra cui Israel Gantz, presidente del consiglio regionale di Binyamin, che raggruppa 47 insediamenti illegali.
Netanyahu: “Tutto finirà a Gaza”
Durante la cena in Cisgiordania, Netanyahu ha ribadito la sua linea:
“Siamo sulla strada della vittoria, ma c’è ancora del lavoro da fare. Tutto è iniziato a Gaza e tutto finirà a Gaza. Non lasceremo lì questi mostri (Hamas, ndr), libereremo tutti i nostri ostaggi, faremo in modo che Gaza non rappresenti più una minaccia per Israele”.

Il premier ha poi celebrato la costruzione di 17 nuovi insediamenti di coloni, promettendo ancora una volta che non permetterà la nascita di uno Stato palestinese:
“Il popolo di Israele confida nell’eroismo dei nostri figli della Giudea e della Samaria. Ho promesso 25 anni fa che avremmo rafforzato le nostre radici, e lo abbiamo fatto”.
La piazza: 350mila a Tel Aviv
Nel frattempo, le manifestazioni in Israele hanno assunto dimensioni imponenti. Secondo gli organizzatori, martedì sera circa 350.000 persone si sono riunite a Tel Aviv nella cosiddetta Piazza degli ostaggi per chiedere un accordo immediato. Dal palco, l’attore Lior Ashkenazi ha definito la mobilitazione “la lotta più morale e umanitaria che ci sia”, invitando i manifestanti a non fermarsi: “Non siamo più disposti a essere educati, basta!”.
Le proteste si sono estese anche alle principali arterie del Paese, con blocchi stradali, cortei davanti alle case dei ministri e sit-in davanti all’ufficio del primo ministro. In mattinata, pneumatici in fiamme hanno paralizzato l’autostrada Ayalon a Tel Aviv.
Gaza: bombardamenti e carestia
Mentre la politica israeliana si divide, la guerra a Gaza non conosce tregua. All’alba di ieri almeno 21 persone sono morte nei raid israeliani e altre 10 sono decedute di fame nelle ultime 24 ore. L’esercito ha ammesso di aver colpito l’ospedale Nasser di Khan Younis, sostenendo che Hamas avesse piazzato una telecamera per monitorare i movimenti delle truppe; un’accusa respinta come “senza fondamento” dal movimento islamista.

L’ONU ha confermato l’arrivo della carestia nella Striscia:
“La fame viene usata come arma di guerra, apertamente promossa da alcuni leader israeliani”, ha denunciato il responsabile umanitario Tom Fletcher, citando il rapporto Ipc che già nelle scorse settimane aveva lanciato l’allarme.
Secondo l’Idf, le truppe di terra stanno avanzando alla periferia di Gaza City in vista di una nuova offensiva. La 99ª Divisione avrebbe colpito infrastrutture sotterranee e postazioni di Hamas, mentre la 162ª Divisione è impegnata nei combattimenti a Jabaliya e la 36ª a Khan Younis, con il supporto dell’aviazione.
Intanto, nella notte le difese aeree israeliane hanno intercettato un nuovo missile lanciato dallo Yemen, segno della crescente estensione regionale del conflitto.