Israele: "Riconoscere la Palestina ha distrutto l'intesa sul cessate il fuoco"
L'Onu avverte: "Una catastrofe se Gaza sarà occupata"

La questione palestinese entra in una nuova fase di tensione diplomatica. Francia, Regno Unito, Malta, Canada e numerosi altri Stati hanno annunciato che, a partire da settembre 2025, riconosceranno ufficialmente lo Stato di Palestina. Con questa scelta, il numero dei Paesi membri delle Nazioni Unite che adotteranno tale posizione salirà a 150 su un totale di 193.
Posizione che ha scatenato l'ira di Israele, che addebita a questo passaggio, la distruzione dell'intesa sul cessate il fuoco a Gaza.
Fra i grandi assenti figurano l’Italia e gli Stati Uniti, che continuano a non aderire alla linea del riconoscimento formale.
La reazione di Israele: accuse ai Paesi favorevoli al riconoscimento
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar, giunto al Palazzo di Vetro dell’ONU a New York, ha espresso dure critiche nei confronti dei Paesi che hanno annunciato la loro decisione, pur senza citarli esplicitamente. Secondo Saar, questo passo diplomatico avrebbe “fatto saltare l’accordo sugli ostaggi” che era in corso di negoziazione.
“La verità deve essere detta” – ha dichiarato prima di entrare nella riunione del Consiglio di Sicurezza – “Israele sta facilitando l’ingresso di ingenti quantità di aiuti a Gaza. Nessun altro Paese al mondo agisce così, in circostanze tanto difficili.”
Il ministro ha accusato alcune nazioni di avere “capovolto la realtà” facendo pressione su Israele anziché su Hamas in momenti cruciali dei negoziati, e di aver “regalato” a quest’ultimo il riconoscimento di uno Stato palestinese che definisce “virtuale”.
“Hanno offerto un invito a prolungare la guerra, hanno di fatto assassinato l’accordo sugli ostaggi e il cessate il fuoco”, ha proseguito Saar, denunciando una campagna internazionale “contro Israele” portata avanti proprio nei giorni più delicati delle trattative.
Il dissenso interno in Israele: l’avvertimento di Lapid
Non tutti in Israele condividono la linea del governo guidato da Benyamin Netanyahu. Il leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha lanciato un duro avvertimento: il piano del primo ministro di occupare completamente la Striscia di Gaza, secondo lui, metterà a rischio diretto la vita degli ostaggi israeliani ancora detenuti e avrà costi gravosi e di lunga durata per il Paese.
“La direzione intrapresa dal governo e dal gabinetto porterà tutti gli ostaggi a morire di fame, percosse e torture, o a essere uccisi durante le operazioni dell’IDF”, ha affermato Lapid in una nota ufficiale.
Il leader centrista teme anche le ripercussioni a lungo termine per i cittadini israeliani, costretti – in caso di occupazione totale – a sostenere il controllo su due milioni di palestinesi.
L’ONU richiama Israele: “Evitare nuove occupazioni”
Sulla questione è intervenuta anche l’ONU. Interpellato da un giornalista riguardo alle indiscrezioni su un piano israeliano per rioccupare interamente la Striscia, il portavoce del segretario generale, Farhan Haq, ha dichiarato che non vi sono conferme ufficiali, ma ha ricordato che la Corte Internazionale di Giustizia, già un anno fa, aveva invitato Israele a porre fine a tutte le attività di occupazione.
“Chiediamo a Israele di dare seguito a tale richiesta e di evitare ulteriori occupazioni”, ha affermato Haq, ribadendo la posizione delle Nazioni Unite.
Durante una riunione del Consiglio di Sicurezza, Miroslav Jenča, segretario generale aggiunto dell’ONU per l’Europa, l’Asia centrale e le Americhe, ha espresso forte preoccupazione per l’eventualità di un’espansione del conflitto. Secondo il diplomatico, l’occupazione totale di Gaza, come prefigurata dal piano Netanyahu, potrebbe avere “conseguenze catastrofiche per milioni di palestinesi”.
Jenča ha inoltre sottolineato che un simile passo rischierebbe di aggravare la sorte degli ostaggi ancora detenuti a Gaza, già esposti a condizioni estreme e pericoli imminenti.
Un contesto di tensione crescente
Questi sviluppi diplomatici e militari si inseriscono in un quadro già teso, segnato da mesi di guerra, dal blocco umanitario sulla Striscia di Gaza e da una crisi alimentare e sanitaria senza precedenti.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di un numero sempre maggiore di Paesi rappresenta per Israele non solo una sfida diplomatica, ma anche un segnale di isolamento crescente in parte della comunità internazionale.