Secondo genitore discriminato nelle coppie omosessuali, la Consulta: "Congedo di paternità spetta anche alla madre"
La Corte Costituzionale dichiara incostituzionale la norma che escludeva la seconda madre dal congedo di paternità: svolta per le famiglie arcobaleno

Con una sentenza destinata a fare scuola, la Corte Costituzionale ha sancito che anche la madre “intenzionale” — ovvero colei che, in una coppia di donne, partecipa al progetto genitoriale pur non essendo la madre biologica — ha diritto al congedo obbligatorio finora riservato solo ai padri biologici. La decisione è contenuta nella sentenza n. 115 del 2025, con cui la Consulta ha dichiarato incostituzionale l’articolo 27-bis del decreto legislativo 151/2001, nella parte in cui esclude questo diritto alle coppie omogenitoriali.

Il cuore della decisione: uguaglianza e tutela del minore
Secondo i giudici costituzionali, il testo finora in vigore violava l’articolo 3 della Costituzione, che tutela il principio di eguaglianza tra i cittadini. Escludere dal congedo obbligatorio la madre intenzionale, pur se riconosciuta dallo Stato civile come genitore, è stato ritenuto discriminatorio e lesivo dei diritti del bambino.
La Corte ha sottolineato che la genitorialità non può basarsi unicamente sul dato biologico, ma deve tenere conto della responsabilità effettiva assunta nei confronti del minore. In altre parole, il ruolo genitoriale si fonda anche sulla volontà, sulla cura e sul riconoscimento legale, non solo sulla genetica.
Chi è la madre intenzionale e cosa cambia nella pratica
La figura della madre intenzionale è quella di una donna che, all’interno di una coppia omosessuale femminile, prende parte attivamente al percorso di maternità, pur non avendo partorito il bambino. Nonostante venga ufficialmente registrata come genitore, fino a oggi non aveva accesso ai 10 giorni di congedo obbligatorio retribuito, previsti invece per i padri.

Con questa sentenza, la situazione cambia radicalmente: la madre intenzionale avrà ora pieno diritto al congedo, come qualunque altro genitore riconosciuto dalla legge. Un passo avanti fondamentale, che garantisce parità di trattamento nei primi giorni di vita del neonato, un periodo cruciale per la costruzione del legame familiare.
Una norma superata e discriminatoria
L’articolo 27-bis del d.lgs. 151/2001, oggetto della pronuncia, faceva riferimento esclusivo alla figura del “padre”, lasciando fuori ogni altro modello familiare. Una lacuna normativa che ha prodotto disparità evidenti, soprattutto in presenza di due madri entrambe riconosciute dallo Stato.
È stata la Corte d’appello di Brescia a sollevare il problema, ritenendo la norma in contrasto con il principio di pari dignità tra i genitori. Secondo i giudici lombardi, negare il congedo alla madre intenzionale significava trattarla in modo ingiustificatamente diverso dal padre nelle famiglie eterosessuali, pur trovandosi nella stessa identica posizione dal punto di vista giuridico e familiare.
Il ruolo cruciale della Corte d’appello di Brescia
Il percorso che ha portato alla storica decisione della Consulta ha preso avvio proprio da un ricorso trattato a Brescia. La Corte d’appello ha evidenziato come la legge, nella sua formulazione attuale, non tutelasse in modo adeguato le nuove realtà familiari, e ha rimesso la questione al vaglio costituzionale.
È grazie a questa iniziativa che la Corte Costituzionale ha potuto intervenire, accogliendo in pieno la tesi della discriminazione e riconoscendo l’illegittimità di una norma rimasta ancorata a un modello familiare ormai superato dalla società e dalla giurisprudenza.
Cosa cambia per famiglie e aziende
Con la pronuncia n. 115/2025, lo Stato italiano dovrà ora garantire alle famiglie omogenitoriali gli stessi diritti riconosciuti a quelle eterosessuali. Le aziende saranno tenute a concedere il congedo obbligatorio anche alla madre intenzionale, con le stesse modalità previste per i padri.
Per il legislatore, si apre la necessità di aggiornare il Testo Unico sulla maternità e paternità, recependo la nuova interpretazione costituzionale e adattando il linguaggio normativo a una realtà familiare più articolata. È una riforma culturale e giuridica che riconosce la pluralità dei modelli genitoriali e tutela, prima di tutto, il benessere dei minori.
Questa sentenza rappresenta un cambio di paradigma nel diritto di famiglia italiano. Non si tratta solo di un ampliamento di diritti, ma di un segnale forte: la genitorialità è fatta di cura, responsabilità e amore, non solo di biologia.