Via libera all'impianto dell'ex Ilva senza il permesso di Regione e Comune, esulta il ministro Urso
L’approvazione dell'AIA è stata accelerata per evitare la chiusura dell’impianto, temutissima dal Governo

Mentre da Roma si esulta per l’autorizzazione salvifica, sul territorio cresce la preoccupazione per una scelta calata dall’alto, senza il pieno consenso di chi quotidianamente vive accanto alla fabbrica.
Esulta Urso: "L'impianto ex Ilva è salvo"
"Lo stabilimento è salvo. Taranto continuerà. L’industria italiana può ancora avere l’acciaio".
Con queste parole pronunciate con entusiasmo dal palco del Congresso della Cisl, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha annunciato il rilascio della nuova Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’ex Ilva di Taranto.

Una notizia accolta con soddisfazione dal governo, ma che solleva un’ondata di polemiche tra le istituzioni locali.
Non ci sono i permessi di Regione e Comune
Il via libera all’AIA è arrivato dalla Conferenza dei servizi, nonostante l’esplicita opposizione della Regione Puglia, della Provincia di Taranto e dei Comuni di Taranto e Statte.
L’approvazione, secondo molti osservatori, è stata accelerata per evitare la temuta chiusura dell’impianto, ormai sprovvisto di AIA dal 31 agosto 2023. L’assenza di autorizzazione, infatti, avrebbe potuto innescare una sentenza di chiusura da parte del Tribunale di Milano.
Per questo il governo, temendo gravi ricadute sociali ed economiche, ha puntato su una AIA ponte, provvisoria, in attesa dell’accordo di programma con gli enti locali e del piano di decarbonizzazione.
Serve più impegno per la transizione ecologica
Il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha confermato il no all'Autorizzazione, motivandolo con la mancanza di un impegno concreto e formalizzato alla transizione ecologica.

Sulla stessa linea anche il sindaco di Statte, Fabio Spada. Una posizione che, secondo alcune fonti vicine al dossier, potrebbe rientrare in una strategia politica volta a ottenere maggior peso nel futuro accordo di programma.
Al centro della discussione c’è il Parere istruttorio conclusivo (Pic), un documento tecnico composto da 477 prescrizioni ambientali che l’ex Ilva dovrà rispettare.
L'AIA, un ponte provvisorio
Il primo testo, elaborato da un gruppo istruttore con il contributo degli enti locali, è stato consegnato all’azienda il 9 aprile. Ma Acciaierie d’Italia ha subito contestato i costi e la sostenibilità delle misure, stimando oltre un miliardo di euro di investimenti necessari e sostenendo che alcune prescrizioni non fossero in linea con la normativa europea.
Dopo le osservazioni dell’azienda, il testo è stato revisionato e aggiornato il 4 giugno, fino all'approvazione finale di oggi, che resta comunque “provvisoria”.
"Primo passo per evitare il collasso sociale"
La nuova AIA permette teoricamente di arrivare a una produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno fino al 2038, ma si tratta di una soglia che appare oggi lontanissima: attualmente lo stabilimento non raggiunge nemmeno i 2 milioni annui.
Il nodo vero resta il futuro dell’area a caldo e la necessità, invocata da più parti, di riconvertire l’intero sito industriale verso processi sostenibili.
Il ministro Urso ha chiarito che l’autorizzazione rilasciata è solo un primo passo per “evitare il collasso sociale” e consentire all’impianto di continuare a operare fino alla firma dell’accordo con gli enti locali, incentrato sulla transizione ecologica.
Scontro tra Roma e il territorio
Ma senza una chiara roadmap sulla decarbonizzazione e con una frattura istituzionale evidente, il percorso appare ancora accidentato.
La vicenda dell’ex Ilva resta, ancora una volta, simbolo delle contraddizioni italiane tra sviluppo industriale e tutela dell’ambiente. Mentre da Roma si esulta per l’autorizzazione salvifica, sul territorio cresce la preoccupazione per una scelta calata dall’alto, senza il pieno consenso di chi quotidianamente vive accanto alla fabbrica.