Milano-gate: "Garantismo a corrente alternata", anche Renzi difende Sala
A difendere con forza questo approccio è stato l’ex premier Matteo Renzi, intervenuto alla trasmissione In Onda su La7:
“Per me il garantismo vale sempre. Milano è cambiata molto in questi anni e sta attraendo molte persone benestanti e non solo. La prima regola in questi casi è aspettare e non strumentalizzare”. Renzi ha poi espresso una posizione netta sul sindaco Giuseppe Sala: “Lo si può criticare, ma è una persona onesta. Io non voglio che si blocchi Milano: questo deve essere fatto con regole chiare e chi ha sbagliato deve pagare. Non giochiamo a fare i garantisti con gli amici e i giustizialisti con gli avversari”.
Sulla stessa linea si è espresso anche Carlo Calenda, leader di Azione:
“Sicuramente c’è un grave conflitto di interessi tra Marinoni – Presidente della Commissione per il paesaggio – e alcuni gruppi di costruttori. Tuttavia, non mi pare che vi sia alcun elemento che coinvolga direttamente Sala. Citare, come fanno i PM, il tono dei messaggi di un architetto per ipotizzare una soggezione, è pessima fantascienza. Che questa inchiesta arrivi a ridosso della cessione dello stadio, come già accaduto in passato con gli interventi sulle procedure urbanistiche, fa legittimamente sospettare un tentativo della procura di influenzare scelte politiche. Sala deve restare e non piegarsi. Lo stadio va venduto e le procedure urbanistiche vanno chiarite. Altrimenti si bloccherà anche Milano”.
Su Milano mi pare di poter dire quanto segue: 1) sicuramente c’è un grave conflitto di interessi tra Marinoni - Presidente della Commissione per il paesaggio - e gruppi di costruttori. 2) Non mi sembra ci sia al momento alcun fatto che coinvolga Sala in alcun modo. Citare - come…
“Scena abbastanza abietta. Destra e sinistra, mentre fanno i giustizialisti gli uni con gli altri, non si accorgono di preparare il terreno per essere giustiziati tutti”.
Richiesta dimissioni in consiglio comunale
Una voce in controtendenza rispetto alla sua stessa maggioranza di governo è stata quella della premier Giorgia Meloni, che ha adottato una linea prudente e garantista, distinta dalle pressioni del centrodestra milanese:
“Non sono mai stata convinta che un avviso di garanzia comporti automaticamente le dimissioni. È una scelta che il sindaco deve fare in base alla sua capacità di governare in questo scenario”, ha affermato in un’intervista al Tg1.
Ben diversa, però, la posizione degli alleati a Milano: Fratelli d’Italia e Lega hanno invocato le dimissioni immediate della giunta, definendole “l’unica seria opzione sul tavolo”.
Più articolata la posizione di Forza Italia: la senatrice Licia Ronzulli ha chiesto un passo indietro da parte di Sala, “non per quello che leggiamo sui giornali, ma per la cattiva amministrazione della città”.
Le correnti del Pd
Dal fronte progressista, il Partito Democratico ha espresso il proprio sostegno al sindaco, pur con accenti diversi.
I più convinti nel sostegno a Sala sono stati esponenti dell’ala riformista del PD, tra cui Lia Quartapelle, Alessandro Alfieri, Filippo Sensi, Walter Verini e Gianni Cuperlo. Il segretario del PD milanese, Alessandro Capelli, ha blindato il primo cittadino:
“Continuiamo a sostenere il lavoro che Sala e tutta l’amministrazione dovranno fare nei prossimi due anni”.
Nel tardo pomeriggio del 17 luglio è intervenuta anche la segretaria nazionale Elly Schlein, esprimendo solidarietà al sindaco, dopo lunghe ore di silenzio.
L’inchiesta si allarga
Nel frattempo, l’indagine condotta dalla Procura di Milano ha assunto le dimensioni di una maxi inchiesta. Sono 74 gli indagati, in un'indagine che punta a far luce su un presunto sistema di pressioni, favoritismi e irregolarità nei rapporti tra pubblica amministrazione e grandi operatori immobiliari. Gli inquirenti hanno acquisito cellulari, chat e messaggi utili a ricostruire nel dettaglio i rapporti tra i protagonisti.
Beppe Sala, sindaco di Milano
Il sindaco Sala, indagato per due ipotesi di reato – false dichiarazioni sulle qualità personali proprie o di terzi e concorso in induzione indebita a dare o promettere utilità – ha fatto sapere di non avere alcuna intenzione di dimettersi. Le accuse si riferiscono rispettivamente alla nomina di Giuseppe Marinoni come presidente della Commissione per il Paesaggio e al progetto del “Pirellino”, realizzato dall’architetto Stefano Boeri e promosso dall’imprenditore Manfredi Catella, presidente del gruppo Coima.
Tancredi: verso le dimissioni
Ben più precaria la posizione di Giancarlo Tancredi, assessore alla rigenerazione urbana, per il quale la Procura ha chiesto gli arresti domiciliari. Secondo l’accusa, Tancredi avrebbe partecipato a un accordo corruttivo tra l’architetto Marinoni e l’imprenditore Federico Pella di J+S. Marinoni, già sotto inchiesta, era stato confermato nel suo ruolo nonostante le indagini in corso.
Giancarlo Tancredi
Tancredi si è detto disponibile a lasciare l’incarico, un’ipotesi considerata ormai inevitabile per garantire serenità nell'affrontare le criticità ancora aperte in ambito urbanistico, prima tra tutte la revisione del PGT (Piano di Governo del Territorio). Secondo i magistrati, alcuni indagati avrebbero cercato di costruire un “PGT ombra” – definizione intercettata nelle conversazioni – focalizzato su specifiche aree della periferia milanese ad alto potenziale edificatorio, condividendo le loro idee proprio con Tancredi.
L’interrogatorio di garanzia dell’assessore è fissato per mercoledì 23 luglio. La decisione del giudice per le indagini preliminari in merito alla richiesta di domiciliari verrà presa quel giorno, ma alcuni spingono affinché le dimissioni arrivino prima: da un lato, potrebbero facilitare la concessione della libertà, dall’altro, lunedì 21 luglio la giunta comunale dovrebbe approvare la vendita dello stadio San Siro e delle aree circostanti a Milan e Inter, un passaggio che molti giudicano inopportuno con Tancredi ancora in carica.