CAMORRA

Condanna confermata per il boss che minacciò Saviano 16 anni fa in aula

Lo scrittore in lacrime dopo la sentenza che ha messo fine a un’odissea fatta di paure, scorte e isolamento: "Mi hanno rubato la vita"

Condanna confermata per il boss che minacciò Saviano 16 anni fa in aula
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Le parole pronunciate nel 2008 da lui e dal suo avvocato non furono solo una provocazione: furono un attacco diretto alla funzione stessa del giornalismo d’inchiesta.

Condannato il boss che minacciò Saviano

Sedici anni. È il tempo trascorso da quando, nell’aula di un tribunale, il boss dei Casalesi Francesco Bidognetti lanciò il suo proclama di odio contro Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione.

Sedici anni che si sono chiusi ieri, lunedì 14 luglio 2025, con un pianto liberatorio dello scrittore tra gli applausi e l’abbraccio con il suo legale, dopo la conferma delle condanne da parte della Corte d’Appello di Roma.

Il commovente abbraccio tra Saviano e il suo legale

Il reato commesso 16 anni fa

La Corte ha ribadito le pene già inflitte in primo grado: un anno e sei mesi di reclusione per Bidognetti – già detenuto dal 1993 in regime di 41 bis – e un anno e due mesi per il suo avvocato Michele Santonastaso.

Entrambi erano accusati di minacce aggravate dal metodo mafioso, reato commesso nel marzo del 2008 durante l’udienza del processo Spartacus, uno dei maxiprocessi più importanti contro la camorra casertana.

Proprio durante quell’udienza, Santonastaso lesse un documento firmato insieme a Bidognetti, che invocava la ricusazione dei giudici e metteva sotto accusa i giornalisti Saviano e Capacchione. I due venivano indicati come figure capaci di influenzare la Corte attraverso i loro scritti – il libro "Gomorra" e gli articoli su "Il Mattino" – che denunciavano i crimini del clan.

"Mi hanno rubato la vita"

Oggi, a distanza di quasi due decenni da quell’episodio, Saviano ha commentato con parole cariche di dolore. Visibilmente commosso, ha parlato di un’odissea fatta di paure, minacce, scorte, isolamento.

Mi hanno rubato la vita. Sedici anni di processo non sono una vittoria per nessuno, ma questa sentenza dimostra che la camorra ha paura dell’informazione. In quell’aula non attaccarono la politica, ma il giornalismo. Dissero che noi, i giornalisti, eravamo i responsabili delle loro condanne. Non era mai successo in un tribunale, in nessuna parte del mondo”, ha dichiarato lo scrittore.

Il valore simbolico del processo

Alla lettura della sentenza erano presenti anche rappresentanti della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) e dell’Ordine dei Giornalisti, costituitisi parte civile.

La loro presenza ha rimarcato il valore simbolico di questo processo: non solo la tutela di due giornalisti minacciati, ma la difesa della libertà di stampa come presidio di democrazia.

La Cassazione aveva trasferito il procedimento a Roma nel 2017 per competenza territoriale, annullando una precedente sentenza della Corte d’Appello di Napoli. Un passaggio che ha allungato ulteriormente i tempi.

Un attacco diretto al giornalismo

Francesco Bidognetti, alias “Cicciotto 'e Mezzanotte”, era uno dei capi più temuti del clan dei Casalesi. Il processo Spartacus, in cui furono contestati centinaia di omicidi e affari criminali, è stato uno spartiacque nella lotta alla camorra.

Le parole pronunciate nel 2008 da lui e dal suo avvocato non furono solo una provocazione: furono un attacco diretto alla funzione stessa del giornalismo d’inchiesta.

Oggi, la giustizia ha messo un punto fermo, seppur tardivo, su quella minaccia. E lo ha fatto ricordando al Paese che chi racconta il crimine rischia la vita, ma non è solo.