L'intelligenza artificiale nella quotidianità dei lavoratori. Ma le aziende non tengono il passo
Di fronte all’avanzata dell’intelligenza artificiale, i lavoratori si muovono più in fretta delle imprese: un cambiamento profondo e silenzioso che sta ridefinendo il mondo del lavoro

Fino a pochi anni fa, l’idea di collaborare ogni giorno con un assistente digitale sarebbe sembrata fantascienza. Oggi invece, è la nuova normalità. Negli uffici, in smart working e nei coworking italiani e internazionali, l’intelligenza artificiale è entrata stabilmente nella quotidianità dei lavoratori, spesso prima ancora che le aziende abbiano definito una strategia precisa in proposito.
Dipendenti sperimentano, le aziende sono in ritardo
Secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, l’85% dei dipendenti che utilizzano strumenti di IA al lavoro ha scelto autonomamente tool trovati online, preferendoli a quelli aziendali. Un dato che racconta un paradosso evidente: mentre i lavoratori sperimentano e si adattano rapidamente alla tecnologia, molte aziende sono ancora in ritardo nell’organizzazione e nella governance di questa trasformazione.
Nonostante il 45% delle organizzazioni italiane dichiari di aver investito in soluzioni di IA nell’ultimo anno, solo il 14% analizza sistematicamente l’impatto di queste tecnologie sui dipendenti. Il rischio è duplice: da un lato, la mancanza di linee guida può generare problemi di sicurezza, etici e organizzativi; dall’altro, si perdono le opportunità di valorizzare una trasformazione in corso che i lavoratori stanno già abbracciando.
Secondo lo HP Work Relationship Index, il 73% dei lavoratori afferma che l’IA rende il lavoro più semplice, mentre il 69% personalizza il suo utilizzo per aumentare efficienza e produttività. Chi utilizza quotidianamente strumenti di intelligenza artificiale guadagna in media 50 minuti al giorno — tempo reinvestito nel 60% dei casi in attività lavorative, nel 53% in compiti a maggior valore aggiunto e nel 44% per la vita personale o familiare.
Un fenomeno generazionale (ma non solo)
Se la Generazione Z guida l’adozione dell’IA in Italia (il 54% la utilizza sul lavoro), non sono i più giovani a dominare ovunque. Secondo il Workforce Index di Slack, sono i Millennials a guidare l’adozione strategica della tecnologia: il 68% la impiega per scrittura, sintesi e creatività, mentre il 30% dichiara di comprendere a fondo il funzionamento degli agenti AI, più della Gen Z (22%).
Nel mondo, l’adozione quotidiana dell’IA è cresciuta del 233% in sei mesi. Oggi, il 40% dei lavoratori globali ha collaborato con un agente AI e il 23% ha già delegato attività specifiche. I risultati sono concreti: chi usa l’IA ogni giorno è il 64% più produttivo e l’81% più soddisfatto rispetto ai colleghi che non la utilizzano.
Questa trasformazione non è solo tecnologica, ma anche culturale. L’IA non è più vista solo come strumento per automatizzare compiti ripetitivi, ma come alleata per potenziare competenze e creatività. Le tre aree in cui l’IA è più utilizzata sono:
- Accesso alle informazioni: ottimizza la ricerca, riducendo il tempo speso nella raccolta dati.
- Scrittura e comunicazione: supporta email, report e documenti professionali.
- Creatività: il 72% dei lavoratori si affida all’IA per brainstorming e idee innovative.
L’effetto è anche psicologico: chi utilizza l’IA con continuità sviluppa maggiore fiducia nella tecnologia. L’esperienza diretta è la chiave: chi interagisce quotidianamente con gli agenti AI è due volte più propenso a fidarsi e, sorprendentemente, anche più connesso ai colleghi. Il senso di appartenenza cresce, in media, del 62% tra chi usa l’IA.
Ombre e criticità
Non mancano però le criticità. Il 36% dei lavoratori teme una dipendenza tecnologica, il 33% rileva un indebolimento delle relazioni interpersonali e il 45% denuncia un aumento dello stress e dei carichi di lavoro. A ciò si aggiunge un problema sempre più urgente: l’obsolescenza delle competenze.
Secondo l’Osservatorio del Politecnico, il 10% dei lavoratori avrebbe già bisogno di una riqualificazione professionale, mentre il 32% teme di diventare obsoleto nel breve termine. In un mercato segnato da instabilità e retribuzioni insufficienti, questa incertezza alimenta frustrazione e precarietà.