Nuove regole esami d’avvocato: Meritocrazia Italia propone una riforma organica per la dignità della professione
Nel 2025 l'esame si svolge ancora secondo la disciplina transitoria ma dal prossimo anno dovrebbe invece entrare in vigore la riforma

Ogni anno, nel mese di dicembre, migliaia di aspiranti avvocati si ritrovano alle prese con le prove di abilitazione all’esercizio della professione forense. Abbiamo visto per anni a flotte di candidati carichi di belle speranze accingersi alla “maratona” dei tre giorni, nella consapevolezza che di lì a pochi mesi solo il 10-15% di loro avrebbe affrontato l’orale e forse conseguito l’abilitazione.
Con le misure di contenimento Covid, la fisionomia dell’esame è radicalmente cambiata, diventando più snella e più breve: una sola prova scritta “breve” e una sola prova orale su meno materie e in generale di minor durata, e articolata in tre fasi di approfondimento progressivo.
Quali sono le nuove regole dell'esame da avvocato
Oggi, nel 2025, decorsi cinque anni dalla pandemia e almeno tre dalla dichiarazione di cessazione dell’emergenza, l’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense continua a svolgersi secondo la disciplina transitoria, senza una reale esigenza concreta di prevenzione. A decorrere dal prossimo anno, invece, dovrebbe invece entrare in vigore la riforma, che richiama solo in parte il vecchio esame: tre esami scritti con due pareri e un atto, un orale su sette materie di cui cinque obbligatorie (comprese le procedure e la deontologia), criteri di valutazione diversi e soprattutto l’ausilio consentito dei soli testi normativi e non più i codici annotati con la giurisprudenza recente.
Se, da un lato, un adeguato approfondimento con una prova di esame più strutturata e maggiore rigore nella valutazione è senza dubbio utile per la valorizzazione del merito di chi dovrà rivestire un ruolo cruciale negli equilibri sociali e costituzionali; dall’altro, i pur nobili intenti di restaurare l’antico prestigio della classe forense si dissolvono nelle amare constatazioni che fanno parte del quotidiano di un giovane professionista.
Retribuzioni incerte, compensi ribassati e ulteriormente schiacciati dalla pressione fiscale e contributiva, valutazioni d’esame che rivelano troppo spesso una lettura superficiale delle prove, contribuiscono alla perdita irreversibile dell’appeal della professione, rivelata anche dal crescente esodo dei giovani avvocati verso posizioni più stabili. La riflessione andrebbe allargata e spinta alle cause profonde della fragilità della classe forense e alle storture che la connotano.
La proposta di Meritocrazia Italia
Meritocrazia Italia propone, in uno alla riforma dell’esame di abilitazione:
- l’introduzione di un compenso minimo ai praticanti e agli avvocati che collaborano in studi legali già strutturati, con sanzione disciplinare specifica non inferiore alla sospensione per il titolare che elude le soglie retributive, e obbligo di garantire la tracciabilità dei pagamenti;
- la riforma delle norme previdenziali, per parametrare anche i contributi minimi obbligatori agli scaglioni di reddito e dunque alla reale capacità finanziaria del contribuente;
- la riforma del sistema universitario, affinché si ritorni a un ordinamento meno dispersivo e focalizzato sugli esami fondamentali nei primi quattro anni, così da dedicare l’ultimo a un modulo pratico, per l’ambito sia giudiziario sia forense, oggetto di valutazione che concorra all’attribuzione del punteggio finale di laurea e con l’individuazione degli obiettivi minimi da conseguire;
- un sistema di valutazione dei titolari di studio legale con rilevanza disciplinare in caso di esito negativo, onde accertare che la pratica forense sia effettiva e realmente formativa all’esame e alla professione;
- obbligo di frequenza in studio durante la pratica per un monte ore minimo e creazione del fascicolo digitale del praticante presso ogni Consiglio dell’Ordine in cui caricare almeno un elaborato al mese a scelta tra un atto o un parere in tutte e tre le materie dello scritto.