Salvini cambia idea: "5% del Pil per riarmo ok se infrastrutture strategiche anche per l'Italia"
Un’inversione di marcia rilevante, anche perché arriva dopo una lunga fase di duri attacchi all’idea stessa di riarmo, in contrapposizione con gli alleati di Governo

Dopo mesi di opposizione netta al riarmo europeo e a ogni ipotesi di aumento delle spese militari, Matteo Salvini sorprende tutti e cambia rotta. Il leader della Lega, che fino a ieri accusava Bruxelles di voler "fare debiti per comprare armi" e definiva "matto" il presidente francese Emmanuel Macron per la sua proposta di un esercito europeo, ora apre – con qualche condizione – alla possibilità di destinare il 5% del PIL alla difesa, come richiesto dalla NATO.
Salvini cambia idea: "5% del Pil per riarmo ok se infrastrutture strategiche anche per l'Italia"
Un’inversione di marcia che segna un punto politico rilevante, anche perché arriva dopo una lunga fase di duri attacchi all’idea stessa di riarmo.
“Mentre qualcuno a Bruxelles continua a parlare di armi e guerra, la Lega lavora per la pace”, aveva ripetuto Salvini in questi mesi, rivendicando la distanza dal piano europeo da 800 miliardi promosso dalla Commissione von der Leyen.
Una posizione che lo aveva anche posto in contrasto con gli altri leader della maggioranza di governo: la premier Giorgia Meloni e il vicepresidente Antonio Tajani, entrambi allineati con la linea NATO.
Il tono, però, è cambiato. A margine della cerimonia per l’avvio dei lavori della nuova sede della Polizia di Stato alla Caserma Montello, a Milano, Salvini ha ammesso che l’obiettivo del 5% per la difesa potrebbe essere “realizzabile, con buon senso e a giusto tempo”. Un’apertura che segna una svolta. Per il leader della Lega, la chiave di lettura sarebbe includere nel computo anche le spese per le infrastrutture strategiche: “Se fra queste spese per la sicurezza inseriamo ad esempio infrastrutture strategiche importanti per l’Italia, c’è un senso”.
Le ragioni
Il cambio di passo non è passato inosservato. Salvini ha cercato di spiegare la nuova posizione come una visione pragmatica: il problema non è il 5% in sé, ma come e dove verrà speso.
“Il non senso sarebbe metterci fretta rispettando le norme europee del patto di stabilità, che ormai sono fuori dal mondo e dovrebbero essere azzerate e cancellate per andare a comprare armi in Francia e Germania. Sarebbe una follia”. Ha poi sdrammatizzato: “Se mi chiedete se vado a letto con l'incubo dell'invasione dei carri armati russi nel centro di Milano, la risposta è no. La mia unica preoccupazione però non dipende né dal governo né dalla Lega: è la campagna acquisti del Milan”.
Le parole di Salvini si inseriscono in un contesto in cui anche il nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha cercato di rendere più digeribile l’obiettivo del 5% per gli alleati, distinguendo tra il 3,5% da destinare direttamente alla difesa e un ulteriore 1,5% per la sicurezza in senso lato – categoria che comprende anche opere pubbliche come ponti e grandi infrastrutture.
Ed è proprio qui che Salvini trova una leva per giustificare il suo cambio di passo: da ministro delle Infrastrutture, rilancia la valenza strategica del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera da sempre simbolo per la Lega.
“Se fra queste spese per la sicurezza inserissimo, ad esempio, infrastrutture strategiche per l’Italia, c’è un senso”, ha detto. La Commissione europea, interpellata sulla questione, ha risposto che “spetta alle autorità italiane valutare se lo scopo principale del Ponte di Messina sia militare o civile”.
Le critiche
Ma le reazioni non si sono fatte attendere.
“Alla fine Salvini getta la maschera e dice sì al raggiungimento del 5 per cento sul Pil per le spese NATO”, ha attaccato la senatrice del Movimento 5 Stelle, Ketty Damante. “Dopo i ripetuti no e gli anatemi contro il riarmo – ha aggiunto – oggi Salvini, ministro per caso dei Trasporti, dice che l’obiettivo del 5 per cento è realizzabile e di buon senso. Come lo dirà ai suoi elettori che ha preso in giro fino a ieri?”.
Secondo Damante, dietro la svolta c’è un tornaconto chiaro: ottenere il via libera al Ponte sullo Stretto, da inserire nelle spese strategiche NATO, come opera non solo civile ma anche potenzialmente militare.