il titolo di studio conta

Secondo l'Istat il tasso di occupazione al 62.7% è il più alto dal 2004

Salgono i tempi indeterminati

Secondo l'Istat il tasso di occupazione al 62.7% è il più alto dal 2004
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Nel primo trimestre del 2025, il mercato del lavoro italiano ha registrato segnali di miglioramento significativi, con un aumento degli occupati e un tasso di occupazione che ha toccato livelli record. Secondo i dati diffusi dall'Istat, gli occupati sono cresciuti di 141mila unità rispetto al trimestre precedente (+0,6%), portando il tasso di occupazione al 62,7%, il valore più alto mai rilevato nelle serie trimestrali dell’Istituto, iniziate nel 2004.

Crescono i contratti stabili, calano quelli a termine

A sostenere questo incremento è soprattutto l’aumento dei contratti a tempo indeterminato. L’Istat segnala infatti una dinamica occupazionale che si sposta sempre più verso la stabilizzazione, con un numero crescente di lavoratori assunti in maniera permanente, mentre diminuiscono i dipendenti a termine. Un segnale interpretato da molti come indice di maggiore fiducia da parte delle imprese, ma che apre anche interrogativi sulla qualità di questi contratti stabili.

Nel confronto su base annua, l’aumento degli occupati è ancora più marcato: 432mila persone in più rispetto al primo trimestre del 2024 (+1,8%).

Disoccupazione stabile, inattività in calo

Restano sostanzialmente invariati altri due indicatori chiave: il tasso di disoccupazione si attesta al 6,1%, mentre cala il tasso di inattività, scendendo al 33,1% (-0,4 punti). Questo suggerisce che più persone stanno tornando attivamente a cercare lavoro, sebbene persistano sacche di scoraggiamento.

Secondo l'Istat il tasso di occupazione al 62.7% è il più alto dal 2004
Lavoratori in Italia

Costo del lavoro in aumento

Accanto ai segnali positivi sull’occupazione, l’Istat rileva anche un aumento del costo del lavoro per Unità di lavoro equivalente a tempo pieno (Ula). Rispetto all’ultimo trimestre del 2024, si registra una crescita dell’1,5%, trainata da un aumento delle retribuzioni (+1,3%) e, soprattutto, dei contributi sociali (+2,2%).

Su base annua, l’incremento complessivo è del 4,6%, con una crescita delle retribuzioni del 4,1% e dei contributi del 6,3%. Questo aumento, spiega l’Istat, è in parte dovuto al rinnovo dei contratti collettivi e alla graduale fine di alcune agevolazioni contributive introdotte negli anni scorsi.

Il canale informale resta il più usato per trovare lavoro

Nonostante l’aumento degli strumenti digitali e dei servizi pubblici per l’impiego, il canale informale — quello basato su amici, parenti e conoscenti — resta il più utilizzato per cercare lavoro.

Lo ha fatto il 73,6% dei disoccupati nel primo trimestre, anche se in calo di due punti rispetto allo stesso periodo del 2024. Cresce invece l’uso di altri metodi: l’invio di curriculum (71,4%, +6 punti), la consultazione di offerte (56,3%, +7,1), il ricorso ai Centri per l’impiego (34,6%, +7,4) e la partecipazione a colloqui o selezioni (31,9%, +4,2). In calo, invece, il ricorso alle agenzie private di intermediazione (17,7%, -2,3).

Divari nell’occupazione legati al titolo di studio

I dati Istat mettono anche in luce il legame tra livello di istruzione e possibilità occupazionali. Cresce di più l’occupazione tra i laureati (+1,9 punti in un anno, con un tasso all’83,6%), seguiti dai diplomati (+0,7, al 67,7%). Solo un modesto +0,3 punti per chi possiede al massimo la licenza media, che rimane fermo a un tasso di occupazione del 44,3%.

Le reazioni politiche: tra entusiasmo e critiche

Il governo Meloni ha accolto con entusiasmo i dati Istat, rivendicando il successo delle proprie politiche attive per il lavoro. Tommaso Foti, ministro per gli Affari Europei e il PNRR, ha definito questi numeri “senza precedenti”, frutto di “scelte coraggiose” e di “una visione chiara”. Secondo Foti, il miglioramento è in netto contrasto con le “ricette fallimentari del passato”, come i bonus a pioggia o il reddito di cittadinanza, che secondo l’esecutivo non offrivano prospettive reali.

Di tutt’altro tenore il commento della Cgil, che invita a non fermarsi ai dati quantitativi. Secondo il sindacato, molti dei nuovi posti di lavoro sono precari, mal pagati o poco dignitosi. Crescono i dipendenti permanenti, sì, ma calano drasticamente quelli a termine (-173 mila) e aumentano gli autonomi (+110 mila), una categoria che, in Italia, spesso nasconde situazioni di lavoro forzato, freelance sottopagati e false partite IVA.

La Cgil sottolinea anche il problema dei contratti part-time non volontari: impieghi formalmente stabili, ma con orari ridotti per necessità aziendali, e quindi poco sostenibili per i lavoratori. Un’altra preoccupazione è legata al tasso di inattività, ancora elevato, segno che molte persone smettono di cercare lavoro non per scelta, ma per mancanza di fiducia.

Calenda: “Cresce l’occupazione, ma non l’economia”

Critico anche Carlo Calenda, segretario di Azione, che mette in dubbio la tenuta dell’intero sistema.

“Il PIL cresce poco, mentre aumentano i posti di lavoro. Questo significa che i nuovi lavori sono mal pagati”, afferma. Calenda cita l’economista Luca Ricolfi, parlando di “economia para-schiavistica”, in particolare nel terziario, dove in alcuni casi si guadagna 4,5 euro l’ora.

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