La Corte costituzionale chiede per la quarta volta al Parlamento di legiferare sul Fine vita
Dopo l'ennesima riunione a vuoto del Comitato ristretto del Senato

Con la sentenza n. 66 del 2025, la Corte Costituzionale torna a esprimersi sul delicato tema del suicidio medicalmente assistito, confermando l'orientamento già delineato in precedenti pronunce e rilanciando un appello forte e inequivocabile al Parlamento: è urgente colmare il vuoto normativo sul fine vita.
Fine vita e suicidio assistito: la Corte Costituzionale ribadisce la non punibilità e sollecita il Parlamento a legiferare
Tutto parte da un procedimento sollevato davanti al GIP di Milano, al quale un pubblico ministero aveva chiesto di archiviare due indagini riguardanti casi di aiuto al suicidio. Il giudice, tuttavia, ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, sollevando dubbi di legittimità sull'articolo 580 del codice penale, che disciplina proprio l’istigazione o l’aiuto al suicidio.
La Corte ha rigettato tali dubbi, giudicando non fondate le questioni di legittimità. Ha precisato, infatti, che non è incostituzionale subordinare la non punibilità dell’aiuto al suicidio alla condizione che la persona malata sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale, secondo valutazione medica.
Il concetto di “sostegno vitale”
Un punto cruciale è la definizione del sostegno vitale. Già nella sentenza n. 135 del 2024, la Consulta aveva chiarito che non serve che il paziente sia già sottoposto a questi trattamenti. È sufficiente che vi sia una indicazione medica secondo cui tali cure siano necessarie per mantenere in vita la persona. In altre parole, se interrompere o non iniziare quel trattamento porterebbe con prevedibilità alla morte del paziente in breve tempo, la condizione è considerata soddisfatta.
La Corte ha ribadito che limitare l’accesso al suicidio assistito ai pazienti che dipendono da trattamenti vitali non costituisce una forma di discriminazione, né una violazione del principio di autodeterminazione. Questo bilanciamento, ha spiegato, è legittimo alla luce del margine di discrezionalità di cui gode il legislatore nel conciliare due principi costituzionali fondamentali: da un lato, la tutela della vita umana (art. 2 Costituzione), e dall’altro, il rispetto dell’autonomia individuale e del diritto al libero sviluppo della persona.
Condizioni e garanzie: protezione dei soggetti fragili
Un altro elemento sottolineato dalla Corte riguarda l'importanza di rigide condizioni sostanziali e procedurali per consentire il suicidio assistito in modo legale. Queste condizioni non servono solo a tutelare la legalità, ma soprattutto a prevenire abusi nei confronti di persone vulnerabili, e a evitare il rischio di una deriva culturale in cui il suicidio diventi una scorciatoia in contesti di abbandono e solitudine.

Per questo motivo, la Corte ha richiamato la necessità che le istituzioni pubbliche e le reti sociali e familiari garantiscano un sostegno adeguato alle persone malate, affinché queste abbiano sempre la possibilità concreta di scegliere di vivere con dignità, se lo desiderano.
Un sistema sanitario diseguale e insufficiente
La sentenza fotografa con preoccupazione anche la situazione attuale del sistema sanitario e sociosanitario italiano. In molte aree del Paese, l’accesso alle cure palliative – che rappresentano una forma di supporto fondamentale nei percorsi di fine vita – non è garantito in modo uniforme. Ci sono liste d’attesa troppo lunghe, carenza di personale qualificato, e una distribuzione geografica fortemente disomogenea. La stessa presa in carico domiciliare da parte dei servizi pubblici è spesso carente, contribuendo a un contesto che può spingere il malato verso scelte estreme non per volontà lucida, ma per mancanza di alternative.
L’appello al legislatore: agire è un dovere costituzionale
Ancora una volta, la Corte ribadisce con forza che tocca al Parlamento intervenire, sia per dare attuazione piena alla storica sentenza n. 242 del 2019, sia per eventualmente introdurre nuove norme che regolino in modo più articolato e completo il fine vita. Qualsiasi scelta il legislatore vorrà fare, dovrà però essere fondata su garanzie solide contro l’abuso, sulla tutela della dignità umana, e su un sistema sanitario che garantisca assistenza equa a tutti.
Il caso Toscana e il conflitto con il Governo
Questo monito arriva in un momento di forte tensione politica sul tema. Solo poche settimane fa, il Governo Meloni ha impugnato la legge regionale sul fine vita approvata in Toscana lo scorso 14 marzo. La norma, prima del suo genere in Italia, mirava a disciplinare operativamente l’accesso al suicidio assistito, rispettando i criteri già fissati dalle sentenze della Corte.

Il Governo ha ritenuto che tale legge violasse le competenze esclusive dello Stato in materia penale e civile, scatenando una bufera politica. Il Presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha accusato l’Esecutivo di colpire chi tenta di applicare ciò che la stessa Corte Costituzionale ha stabilito, definendo la mossa “paradossale” e denunciando l’assenza di una legge nazionale attesa da anni.
La Corte Costituzionale ha tracciato con chiarezza un perimetro entro il quale il suicidio medicalmente assistito può non essere punito, ma spetta al Parlamento rendere questo diritto accessibile, regolamentato e protetto.
Nel frattempo, il Paese resta sospeso tra decisioni giudiziarie puntuali e l’assenza di una cornice normativa organica. Un vuoto che rischia di pesare proprio su chi, più di tutti, avrebbe bisogno di chiarezza, protezione e rispetto: le persone che affrontano la fase terminale della vita.