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"Fare il minimo indispensabile al lavoro": si espande il fenomeno del quiet quitting

Una specie di "protesta" muta contro un sistema che spesso ignora i bisogni psicologici, emotivi e motivazionali dei lavoratori

"Fare il minimo indispensabile al lavoro": si espande il fenomeno del quiet quitting
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Negli ultimi anni si sta diffondendo in tutto il mondo un fenomeno che, seppur silenzioso, ha un impatto fortissimo sull’organizzazione del lavoro e sull’economia globale: il quiet quitting. Si tratta di una forma di disimpegno lavorativo in cui i dipendenti non abbandonano formalmente il loro impiego, ma si limitano a fare il minimo indispensabile, rifiutando di investire energie emotive o tempo extra.

Una specie di "protesta" muta e profonda contro un sistema che spesso ignora i bisogni psicologici, emotivi e motivazionali dei lavoratori.

L’indagine Gallup: un’Italia poco felice e molto stressata

Secondo il rapporto State of the Global Workplace 2024 di Gallup, il quiet quitting non è un’eccezione, ma una realtà molto presente anche in Italia. Il 25% dei lavoratori italiani risulta essere “attivamente disimpegnato”, una percentuale nettamente superiore alla media europea, che si ferma al 16%. Solo il 41% degli italiani afferma di sentirsi “in uno stato di benessere”, rispetto al 47% della media europea, mentre il 46% dichiara di vivere in uno stato di stress continuo (contro il 37% degli altri Paesi europei).

Il fenomeno del "quiet quitting": un segnale d’allarme che le aziende non possono (più) ignorare
Quiet Quitting

Una seconda indagine, questa volta realizzata da Sviluppo Lavoro Italia per conto della Cgil, conferma che nemmeno la “laboriosa” Milano fa eccezione. Tra il 2023 e il 2024, ben 872 persone hanno lasciato volontariamente un lavoro a tempo indeterminato. Di queste, il 47,3% ha meno di 34 anni, mentre il 70% ha meno di 44 anni. Numeri che collocano il capoluogo lombardo al 73° posto su 107 province italiane per tasso di abbandono del posto fisso.

Nel panorama europeo, l’Italia si posiziona tra i Paesi con il più basso tasso di coinvolgimento attivo da parte dei dipendenti: solo l’8% si definisce “attivamente impegnato” nel proprio lavoro, meglio solo della Francia, ferma al 7%. Non stupisce, quindi, che il 41% degli italiani stia cercando concretamente un nuovo lavoro: una percentuale superata solo dagli albanesi (42%).

A preoccupare ulteriormente è anche il dato relativo al livello di felicità percepita sul posto di lavoro: il 25% degli italiani si dichiara “triste” durante le ore lavorative, un dato che ci posiziona tra i peggiori d’Europa, davanti solo al Regno Unito e a Cipro.

Il fenomeno del "quiet quitting": un segnale d’allarme che le aziende non possono (più) ignorare
Quiet Quitting

Il costo globale del disimpegno: 8,9 trilioni di dollari

L’effetto domino del quiet quitting va ben oltre il disagio individuale. Secondo Gallup, il disimpegno lavorativo costa all’economia globale ben 8,9 trilioni di dollari ogni anno, pari al 9% del PIL mondiale. Questo impatto economico deriva da diversi fattori: produttività ridotta, turnover elevato, minore capacità d’innovazione e uno scarso senso di appartenenza dei lavoratori alle proprie organizzazioni.

Negli ultimi dieci anni, il numero di persone che dichiarano di provare stress, ansia, tristezza, rabbia o preoccupazione sul posto di lavoro è aumentato costantemente, raggiungendo i livelli più alti da quando Gallup ha iniziato a raccogliere dati su questo fronte. Sebbene in Europa la situazione sia relativamente meno grave rispetto ad altre regioni del mondo (solo il 13% dei lavoratori si definisce coinvolto, contro il 23% a livello globale), negli Stati Uniti la situazione è particolarmente critica: solo il 31% dei lavoratori si sente ancora motivato e coinvolto nella propria attività.

Come contrastare il quiet quitting: i consigli degli esperti

Il quiet quitting non è un fenomeno inevitabile. Gli esperti concordano sul fatto che le aziende, a partire dai vertici, possano adottare strategie efficaci per arginare il problema e ricostruire un legame autentico con i dipendenti. Alcuni degli interventi più raccomandati includono:

  • Creare un ambiente di lavoro positivo: un clima aziendale accogliente, basato sul rispetto reciproco e sull’ascolto, può ridurre lo stress e favorire la motivazione.
  • Investire nel wellbeing aziendale: curare il benessere fisico, mentale ed emotivo dei dipendenti è fondamentale per evitare il distacco emotivo. Questo significa promuovere un buon equilibrio tra vita privata e lavorativa, ma anche fornire supporto psicologico se necessario.
  • Fornire feedback positivi: i lavoratori hanno bisogno di sentirsi apprezzati. Un riconoscimento sincero e regolare delle loro competenze e dei risultati raggiunti può fare la differenza.
  • Puntare sulla formazione continua: offrire opportunità di crescita professionale lungo tutto il percorso lavorativo non solo migliora le competenze, ma fa sentire i dipendenti valorizzati e proiettati verso il futuro.
Il fenomeno del "quiet quitting": un "disimpegno" che le aziende non possono (più) ignorare
Lavoratori gratificati

Un altro dato interessante arriva da un sondaggio realizzato da Glassdoor, secondo cui il 79% dei dipendenti preferisce ricevere benefit piuttosto che aumenti di stipendio. Tra i benefit più apprezzati figurano: agevolazioni per i trasporti pubblici, buoni carburante, convenzioni per la spesa o sconti aziendali. Questi strumenti rispondono meglio a bisogni concreti e quotidiani, migliorando sensibilmente la qualità della vita dei lavoratori.

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