Il Decreto Sicurezza minaccia il settore della cannabis light: 30.000 posti di lavoro a rischio
Il paradosso denunciato dagli imprenditori è evidente: mentre si vieta la produzione italiana, gli stessi prodotti potranno continuare a essere importati

Il Decreto Sicurezza, approvato dal governo e pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 aprile 2025, ha immediatamente reso illegale la lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto e consegna delle infiorescenze di canapa sativa, anche in forma semilavorata. Il provvedimento, contenuto nell'articolo 18 del decreto, non lascia spazio a interpretazioni: da un giorno all’altro, migliaia di agricoltori e imprenditori si sono ritrovati potenzialmente perseguibili penalmente per attività fino a ieri perfettamente legali.
Dal boom al blocco in 24 ore
Grazie alla legge 242 del 2016, che regolamentava la coltivazione di canapa per fini industriali, negli ultimi anni in Italia si era sviluppato un fiorente settore agroindustriale. Circa 3000 aziende, 15000 posti di lavoro stabili e fino a 30.000 durante i picchi stagionali: questo era il mondo della cannabis light, fondato su un prodotto con livelli di THC inferiori allo 0,6%, privo di effetti psicoattivi ma ricco di CBD, una sostanza rilassante e terapeutica riconosciuta anche dall’OMS come sicura e non stupefacente.
Tutto ciò è stato azzerato da una decretazione d’urgenza che – senza alcun periodo di transizione – ha criminalizzato l’intera filiera. Non è previsto alcun termine per lo smaltimento delle scorte, né modalità operative per la distruzione dei prodotti già stoccati. Le aziende, spiazzate, si ritrovano con magazzini pieni di merce ora considerata illegale.
Un paradosso sul mercato
Il decreto equipara la cannabis light a una sostanza stupefacente, ignorando evidenze scientifiche, sentenze della Cassazione e normative europee. La Corte di Giustizia dell’UE ha infatti stabilito che il CBD non è una sostanza psicotropa e non può essere vietato se prodotto legalmente in un altro Stato membro.
Il paradosso denunciato dagli imprenditori è evidente: mentre si vieta la produzione italiana, gli stessi prodotti potranno continuare a essere importati da Paesi in cui la cannabis light è legale, come la Repubblica Ceca o la Svizzera. Aziende italiane, come Crystalweed e Enecta, stanno già valutando la delocalizzazione per continuare a operare legalmente, lasciando a casa migliaia di lavoratori.

"Abbiamo un governo che da un lato difende il vino italiano dai dazi USA, ma dall’altro cancella un comparto agricolo innovativo da mezzo miliardo di euro l’anno", afferma Raffaele Desiante, presidente di Imprenditori Canapa Italia. "La cannabis light è Made in Italy, ma viene sacrificata sull'altare dell’ideologia e della disinformazione".
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Anche Coldiretti ha preso le distanze dal decreto, definendo "irragionevole" equiparare le infiorescenze a droghe in assenza di uso ricreativo o psicoattivo. Secondo l'organizzazione, il provvedimento è in netto contrasto con il Green Deal europeo, che riconosce alla coltivazione della canapa un ruolo strategico nella sostenibilità ambientale e nella riduzione delle emissioni in edilizia.
Conseguenze economiche e giuridiche
Oltre al danno occupazionale, il decreto espone imprenditori e agricoltori a procedimenti penali per spaccio o produzione di stupefacenti, secondo quanto previsto dal Testo Unico del 1990. Una situazione giuridica incerta e allarmante, in cui persino il possesso di infiorescenze legalmente prodotte prima del 12 aprile può diventare oggetto di sequestro.

Le associazioni di categoria stanno preparando ricorsi al TAR e al Tribunale del Riesame, mentre alcuni avvocati stanno valutando azioni di accertamento costituzionale. Il Parlamento ha ora 60 giorni per convertire in legge il decreto: sarà questa l’ultima occasione per salvare un settore che, in assenza di un ripensamento, rischia l’estinzione. Il settore non è disposto a cedere senza combattere. Manifestazioni e mobilitazioni sono in preparazione per sensibilizzare l’opinione pubblica e i parlamentari.
"Non possiamo accettare che uno Stato di diritto trasformi degli imprenditori in criminali da un giorno all’altro", ribadisce Desiante. "Chiediamo solo regole chiare, basate su dati scientifici e nel rispetto delle normative europee. E soprattutto, chiediamo rispetto per il lavoro e per il Made in Italy".