Il medico personale di Papa Francesco: "Non voleva accanimento terapeutico. Desiderava morire a casa"
Un rapporto speciale univa il Papa al suo assistente sanitario personale, Massimiliano Strappetti, figura di riferimento e fiducia assoluta: il Pontefice lo considerava al pari di un figlio

Sergio Alfieri, chirurgo di fama e responsabile dell’Unità operativa complessa di Chirurgia digestiva del Policlinico Gemelli di Roma, ha condiviso il racconto toccante degli ultimi giorni di Papa Francesco, rivelando con rispetto e lucidità il contesto umano e clinico in cui si è consumata la fine del Pontefice.

Dal rifiuto all'accanimento terapeutico, al desiderio di morire a casa.
Papa Francesco: no all'accanimento terapeutico
Professore all’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore dell’équipe medica che ha avuto in cura il Santo Padre, Alfieri ha ricordato la forte volontà del Papa di affrontare la malattia senza accanimento terapeutico. Già nel 2021, infatti, il Pontefice gli aveva chiesto espressamente di non ricorrere a trattamenti invasivi in caso di peggioramento delle sue condizioni.
Durante l’ultimo ricovero, questa volontà si è manifestata chiaramente: Francesco ha chiesto di non essere intubato, consapevole che un simile intervento, pur potenzialmente utile a livello respiratorio, avrebbe reso quasi impossibile la successiva estubazione, soprattutto con i polmoni compromessi da virus e infezioni fungine. "Avremmo solo prolungato la sua vita di qualche giorno", ha spiegato Alfieri.
Il rapporto speciale con il suo infermiere
Un rapporto speciale univa il Papa al suo assistente sanitario personale, Massimiliano Strappetti, figura di riferimento e fiducia assoluta per il Pontefice.
"Era la persona di cui si fidava di più", ha raccontato Alfieri, "anche se a volte faticava anche lui". In caso di perdita di coscienza, le direttive mediche sarebbero state affidate proprio a Strappetti, considerato da Francesco quasi come un figlio.

Nonostante le difficoltà fisiche, il Papa ha voluto continuare a lavorare fino all’ultimo, convinto che l’impegno e il contatto con il popolo facessero parte della sua "terapia". Una scelta emblematica si è verificata proprio durante le celebrazioni pasquali, quando, su suggerimento di Strappetti, ha deciso di uscire in piazza tra la folla. Un gesto di forza, ma anche di saluto.
Gli ultimi minuti
Il lunedì di Pasquetta, però, le sue condizioni sono precipitate. Alfieri ha raccontato che intorno alle 5:30 del mattino ha ricevuto una chiamata urgente da Strappetti:
“Il Santo Padre sta molto male, dobbiamo tornare al Gemelli”. Il medico ha raggiunto in fretta Casa Santa Marta, dove ha trovato Francesco con gli occhi aperti, ma privo di coscienza. "Non rispondeva nemmeno agli stimoli dolorosi", ha detto. In quel momento, Alfieri ha capito che non c’era più nulla da fare. Il Papa era in coma.
Il trasferimento in ospedale sarebbe stato vano, persino pericoloso.
"Rischiavamo di farlo morire durante il trasporto", ha spiegato Alfieri, aggiungendo che Strappetti era ben consapevole del desiderio del Papa: morire in casa, non in un letto d’ospedale.
Il decesso è stato probabilmente causato da un ictus fulminante, forse originato da un embolo o da un’emorragia cerebrale. "Sono eventi che possono colpire chiunque", ha osservato il medico, "ma negli anziani, soprattutto se poco attivi fisicamente, il rischio è maggiore".
Papa Francesco si è spento poco dopo. Accanto a lui, oltre ad Alfieri e Strappetti, c’erano gli infermieri, i segretari e il cardinale Parolin, che ha guidato una preghiera collettiva. Il medico ha descritto quel momento con commozione:
"Abbiamo recitato insieme il rosario. Mi sono sentito un privilegiato. Quella mattina, gli ho dato una carezza come ultimo saluto".