Autonomia differenziata depositate le ragioni dei "7 no" della Consulta. Quali scenari
"Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. L'accentuato pluralismo, che si riflette anche sul piano istituzionale, non porta alla evaporazione della nozione unitaria"
Sull'autonomia differenziata arrivano le motivazioni della Consulta. Circa la legge fortemente voluta dalla Lega - che permetterebbe alle regioni di gestire in autonomia materie oggi di competenza statale- i giudici avevano accolto parzialmente i ricorsi presentati da quattro regioni guidate dal centrosinistra – Puglia, Toscana, Sardegna e Campania – dichiarando illegittimi sette punti chiave del provvedimento promosso dal ministro per l'Autonomia Roberto Calderoli. Una decisione che, di fatto, blocca l'applicazione della legge finché il parlamento non interverrà per correggere le parti bocciate.
La sentenza n. 192, è stata pubblicata in data 3 dicembre 2024. Nonostante le censure, la Consulta non ha dichiarato incostituzionale l’intero impianto della legge. No al trasferimento alle Regioni delle materie che richiedono un coordinamento sovranazionale o incidono sui diritti civili e sociali non rispettando il principio di sussidiarietà che è alla base del nostro ordinamento costituzionale: è questo il cuore delle 166 pagine depositate.
Autonomia differenziata: depositate le ragioni della Consulta
Nelle 166 pagine della decisione, la Consulta ha riaffermato l'importanza dell'unità nazionale e il ruolo centrale del Parlamento. I giudici hanno rigettato l'idea di una frammentazione della nazione in “popoli regionali” e hanno ribadito che la coesione del Paese non può essere compromessa. In particolare, è stata sottolineata l’impossibilità di trasferire alle Regioni materie strategiche come energia, ambiente, commercio estero, comunicazioni e grandi reti di trasporto. Cruciale, secondo la Corte, è il rispetto dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) su tutto il territorio nazionale.
“Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. L'accentuato pluralismo, che si riflette anche sul piano istituzionale, non porta alla evaporazione della nozione unitaria di popolo” e di “un nucleo di valori condivisi che fanno dell’Italia una comunità politica con una sua identità collettiva”, hanno dichiarato i giudici, evidenziando come qualsiasi differenziazione non possa minare la solidarietà e l’unità giuridica ed economica della Repubblica.
Autonomia: una possibilità, ma con correzioni
La Consulta non ha dichiarato incostituzionale l’intero impianto della legge. Ha anzi riconosciuto che l’autonomia differenziata può essere compatibile con la Costituzione, purché si rispettino criteri di sussidiarietà e siano introdotte correzioni sostanziali. Questo lascia aperta la possibilità di un ritorno della normativa in Parlamento per adeguarla ai rilievi mossi.
I Sette Punti Contestati
La sentenza si è concentrata su sette aspetti chiave ritenuti incostituzionali:
- Le Materie: La devoluzione deve riguardare funzioni specifiche, non intere materie, e ogni trasferimento deve essere giustificato.
- La Fonte Normativa: L'aggiornamento dei Lep non può essere affidato a un decreto del presidente del Consiglio.
- La Delega: La legge non può delegare al Governo la determinazione dei Lep senza criteri chiari, relegando il Parlamento a un ruolo marginale.
- La Spesa Storica: Bocciata la definizione dei Lep basata sulla spesa storica delle Regioni, considerata un criterio inefficace.
- La Solidarietà: Il concorso delle Regioni agli obiettivi di finanza pubblica non può essere facoltativo, ma deve rispettare i principi di solidarietà nazionale.
- I Tributi: Non è consentito modificare con decreti le aliquote dei tributi erariali per finanziare funzioni trasferite, evitando premi alle Regioni inefficienti.
- Regioni a Statuto Speciale: Problemi sono stati individuati nell’estensione dell’autonomia differenziata alle Regioni a statuto speciale, che devono seguire le procedure previste dai loro statuti.
Nel dettaglio, circa questi 7 profili di illegittimità, la Corte ha argomentato e approfondito. Significative le perplessità riguardo al trasferimento di alcune materie alle Regioni, ritenendo che ciò contrasti con il principio di sussidiarietà e con i vincoli giuridici, economici e tecnici connessi. Pur non escludendo del tutto la possibilità di trasferire competenze, i giudici hanno avvertito che tali scelte saranno sottoposte a un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale in futuro.
Tra le competenze considerate "difficilmente trasferibili", la Consulta ha evidenziato:
- Commercio con l'estero, di competenza esclusiva dell'Unione Europea.
- Tutela dell'ambiente e energia, regolamentate dal diritto europeo in funzione del mercato interno.
- Porti, aeroporti e grandi reti di trasporto, essenziali per l’unità infrastrutturale.
- Ordinamento delle comunicazioni, professioni e istruzione, la cui dimensione nazionale è necessaria per preservare identità e coesione del Paese.
I giudici hanno sottolineato che una frammentazione eccessiva metterebbe a rischio l’unità giuridica ed economica della Repubblica e l’eguaglianza dei cittadini nei diritti fondamentali, compromettendo i livelli essenziali delle prestazioni (Lep).
La Corte ha ribadito l'indivisibilità del popolo e della nazione, escludendo la possibilità di riconoscere “popoli regionali” dotati di una frazione di sovranità. La tutela dell’unità del Paese è prerogativa esclusiva del Parlamento e non può essere delegata ai consigli regionali. La differenziazione delle competenze, secondo i giudici, deve essere basata su criteri oggettivi e non su logiche di potere o interessi politici.
Dopo la sentenza della Consulta, il testo passa ora all’ufficio centrale del referendum presso la Cassazione. Sarà questo organo a verificare se esistano le condizioni per sottoporre il tema a consultazione popolare. Come ha spiegato il presidente della Corte costituzionale, Augusto Barbera, si tratta di un primo passaggio, cui potrebbero seguirne altri, a seconda dell’evoluzione del dibattito.
Reazioni politiche
Intanto in Parlamento Pd, M5S e Avs chiedono un'informativa urgente a Roberto Calderoli
"Per sapere come intenda proseguire sull'Autonomia differenziata dopo che la Corte Costituzionale ha praticamente demolito l'impianto della sua ormai ex riforma. In qualsiasi paese al mondo probabilmente a quest'ora, dopo un fallimento del genere, il ministro competente si sarebbe già dimesso", l'affondo del responsabile nazionale dem per il Mezzogiorno Marco Sarracino.
Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie tira dritto:
"La sentenza conferma che la strada intrapresa dal Governo e dal Parlamento per l'attuazione dell'autonomia differenziata è giusta", commenta Calderoli, spiegando che quanto messo nero su bianco dalla Corte "integra direttamente il contenuto della legge e non richiede ulteriori interventi se non per la parte relativa ai Lep (livelli essenziali delle prestazioni, ndr)". Calderoli si dice, su quest'ultimo fronte, pronto per condividere con il Parlamento una soluzione in grado di dare "piena attuazione alle prescrizioni della sentenza, a partire dall'applicazione del principio di sussidiarietà". "Facciamo tesoro della pronuncia della Corte - assicura - per completare e migliorare un percorso lungo un terreno inesplorato e mai portato a compimento negli ultimi 23 anni, affinché a Costituzione sia pienamente attuata".
La battaglia tra Regioni del Nord, sostenitrici della riforma, e quelle del Sud, critiche verso il progetto, sembra destinata a proseguire. Tuttavia, il messaggio della Corte è chiaro: l’autonomia differenziata è possibile, ma non a scapito dell’unità del Paese.