IL GIALLO DI BERGAMO

C'è del dna sul corpo e sui vestiti di Sharon Verzeni, il giallo dei messaggi ricevuti prima di morire

Il garage di via Castegnate sequestrato a due passi dal luogo del delitto invece non c'entra con l'assassinio. Un serial killer? Pista fantasiosa

C'è del dna sul corpo e sui vestiti di Sharon Verzeni, il giallo dei messaggi ricevuti prima di morire
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Nel giallo di Terno d'Isola due nuovi importanti elementi. Mentre  Sergio Ruocco, il compagno di Sharon Verzeni, è stato convocato nel pomeriggio di martedì 13 agosto 2024 al comando provinciale dei carabinieri di Bergamo nella caserma di via delle Valli per essere risentito per sei ore come persona informata sui fatti (con lui anche il padre e nessun avvocato), gli inquirenti continuano senza sosta il loro lavoro per venire a capo dell'omicidio della 33enne.

La prima notizia è che a molti abitanti del centro di Terno d'Isola è stato somministrato un tampone salivare: lo scopo, confrontare il loro dna con quello rinvenuto sul corpo e sui vestiti della vittima, che potrebbe essere appunto quello del suo aggressore.

La seconda notizia è che gli investigatori si stanno concentrando sul traffico di messaggi durante la passeggiata notturna di Sharon, in particolare su quello giunti maggiormente a ridosso dell'omicidio, nella speranza che possano ricollegarlo a un movente.

Il garage sequestrato non c'entrava col delitto di Sharon

Purtroppo la svolta tanto attesa non c'è stata. Quando lunedì 5 agosto 2024 i Carabinieri avevano messo i sigilli a un garage di via Castegnate a due passi dal luogo del delitto, sembrava davvero che s'imprimesse un'accelerata alle indagini sull'omicidio di Sharon Verzeni (in copertina, a sinistra nella pasticcieria di Brembate dove lavorava).

E invece no, a due settimane di distanza, è buio fitto sulla barista 33enne aggredita durante una passeggiata notturna nella notte tra il 29 e il 30 luglio a Terno d'Isola, in provincia di Bergamo, Lombardia.

Quel garage non c'entrava con l'assassinio. Come raccontato da Prima Merate, sarebbe stato utilizzato come giaciglio da uno spacciatore marocchino di 33 anni, fermato a casa di alcuni connazionali a Stezzano, in provincia di Bergamo, e trovato in possesso di 30 grammi di cocaina. Il garage di via Castegnate pare fosse utilizzato dal nordafricano come "base" per lo spaccio di stupefacenti, fenomeno per altro piuttosto diffuso sia in quella strada che nella vicina piazza Sette Martiri (il tema della sicurezza e della microcriminalità in paese è diventato un caso politico, con botta e risposta tra sindaco e minoranze). Il pusher però avrebbe fornito agli inquirenti un alibi credibile, che lo renderebbe estraneo ai tragici fatti.

La fantasiosa pista del serial killer "fantasma" nella Bergamasca

Insomma, punto e a capo. Il discrimine resta sempre lo stesso: fatto casuale oppure no?

Finora non sono emersi elementi tali da far pensare a un omicidio deliberato e magari anche preordinato.

Scartata anche la rapina finita in tragedia: alla ragazza non è stato portato via nulla, nemmeno il cellulare con cui ha chiamato lei stessa i soccorsi.

E questo dettaglio va anche contro l'ipotesi dell'omicidio preordinato: se qualcuno voleva ammazzarla e poi coprire le proprie tracce, per prima cosa si sarebbe impossessato del telefonino.

Escluso anche un movente sessuale, un tentativo di stupro degenerato in assassinio: nella via non si è sentito nulla di nulla, men che meno un approccio o il tentativo di usare violenza nei confronti della 33enne.

Il fatto che, in base all'autopsia, sia stata colta di sorpresa, sembrerebbe confermarlo: tre coltellate su quattro sono arrivate da tergo e la ragazza forse aveva nelle orecchie le cuffiette attaccate al cellulare per ascoltare musica e non s'è accorta dell'arrivo dell'assassino.

Resta la casualità, il folle solitario che ha agito senza motivo, una coincidenza incredibile, ma possibile.

Il percorso di Sharon:

Probabilmente la svolta in questa indagine difficilissima arriverà dal DNA: è possibile che l'assassino abbia lasciato traccia di sè sul corpo o sui vestiti di Sharon, quella sarebbe la sua firma inequivocabile.

Due apparenti contraddizioni

Il resto è tutto da prendere con le pinze. Come ad esempio la teoria di un serial killer che sarebbe rimasto nell'ombra per anni nella Bergamasca.

In effetti ci sono due casi irrisolti di donne uccise da assassini rimasti impuniti.

Il primo è quello di Daniela Roveri, la manager sgozzata a 48 anni il 20 dicembre 2016 (con modalità simili all’omicidio Verzeni) a Colognola, quartiere dormitorio a Sud di Bergamo. Dirigente della Incra Italia di San Paolo d’Argon, è stata accoltellata nel posteggio a pochi metri dal suo condomino con un solo fendente. Nessun movente, nessun testimone, caso archiviato.

L'altro è quello di Gianna Del Gaudio, insegnante di Lettere in pensione sgozzata anch'essa con un taglierino la notte tra il 26 e il 27 agosto, sempre nel 2016, nella sua villetta di Seriate.

Ora, che un serial killer rimanga "dormiente" per otto anni, non è impossibile. La zona però è un po' diversa, hinterland di Bergamo nel 2016, Isola bergamasca oggi. Certo l'omicida potrebbe essersi trasferito, ma quadrano meno le modalità (il solo fendente) e le caratteristiche delle vittime con Sharon.

Che poi, un legame fra i delitti del 2016 non è stato mai suffragato da nulla, un terzo link parrebbe davvero un volo pindarico: soprattutto, un serial killer uccide per soddisfare un "bisogno" preciso, perché avrebbe dovuto scegliere a caso una giovane camminatrice, ucciderla in pochi secondi e sparire nel nulla?


In tutto questo strano giallo ad ogni modo è rimasto, rispetto a quanto ricostruito fin qui, un dettaglio apparentemente contraddittorio.

Il compagno e futuro marito della vittima, l'artigiano Sergio Ruocco (sin da subito escluso dai sospetti dopo un pressante interrogatorio durato dalla notte del delitto al pomeriggio dopo) s'è detto che a volte accompagnava Sharon durante le sue salutari passeggiate serali. Non sempre, ma era consapevole e anche partecipe dell'hobby della compagna. Il fatto che abbia dichiarato "Se avessi saputo che quella sera sarebbe uscita a quell'ora, non l'avrei lasciata" in questo senso potrebbe stridere con la narrazione: se sapeva che a volte usciva da sola, significa che il problema, rispetto al solito era solo l'orario insolitamente tardo? O significa che, se avesse saputo, sarebbe uscito dal letto e l'avrebbe accompagnata?

Certo, solo un dettaglio, tuttavia uno dei tanti di una vicenda che sembra sempre più non avere nè capo, nè filo.

Un altra incongruenza è stata invece messa in luce dagli investigatori cronometro alla mano. Per arrivare da piazza Sette Martiri fino al luogo del delitto in via Castegnate si impiega un minuto e mezzo o poco più. Invece, dall'ultima immagine di Sharon catturata dalle telecamere fino al momento in cui è partita la chiamata al 118, di minuti ne passano tre. Il doppio. Cosa significa? Tutto e niente, purtroppo. In primis la 33enne potrebbe aver percorso a rilento il tratto perché stanca, o perché stava guardando il cellulare. Oppure ci ha messo molto (come biasimarla) a chiamare il 118 dopo esser stata accoltellata. Certo, c'è anche l'ipotesi che abbia incontrato qualcuno e che si sia fermata a parlarci, resta però il fatto che i pochi testimoni, prima del delitto, hanno raccontato di una via avvolta nel più assoluto silenzio.

Commenti
Mirko88

A queste 3 donne aggiungerei anche la povera ragazza che tutti sappiamo... dove e' stato forzato un colpevole, chi ha approfondito sa di cosa parlo.

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