DA PRIMA FIRENZE

Infermiera killer di Livorno: prima l'ergastolo, poi l'assoluzione, ora nuovamente l'ergastolo

Ma quel che in tre gradi di giudizio non s'è mai capito è perché l'avrebbe fatto

Infermiera killer di Livorno: prima l'ergastolo, poi l'assoluzione, ora nuovamente l'ergastolo
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Prima l'ergastolo, poi l'assoluzione, ora nuovamente l'ergastolo. E' una vicenda paradossale per molti versi, quella di Fausta Bonino, infermiera in Rianimazione all'ospedale di Piombino, in provincia di Livorno, Toscana, negli ultimi anni al centro di un controverso caso giudiziario.

Infermiera killer di Livorno: la condanna definitiva

Perché ora la Cassazione ha confermato che la 68enne ha ucciso almeno 4 pazienti ricoverati nel suo reparto tra il 2014 e il 2015, somministrando dosi massicce di eparina.

Ma quel che in tre gradi di giudizio non s'è mai capito è perché l'avrebbe fatto.

Come in altri casi nel novero delle cronache, perché l'infermiera voleva in qualche modo accelerare la morte dei pazienti per un vizioso concetto di benevolenza, una "pietà distorta", insomma, per non farli soffrire? Oppure per un determinato intento maligno?

Per la Giustizia Fausta Bonino è un'assassina, ma non si sa perché.

Solo fra 90 giorni, con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza d'ergastolo emessa oggi (mercoledì 29 maggio 2024) dalla Cassazione, potranno forse arrivare spiegazioni.

Quelle della sentenza di condanna di primo grado si erano unicamente limitate a mettere in correlazione la colpevolezza con una serie di opportunità: fondamentalmente le morti sospette si verificavano sempre e solo quando l'infermiera era di turno e quantità e modalità di somministrazione dell'eparina avrebbero portato la firma di una deliberazione omicida.

C'è anche da dire che su dieci casi contestati, sei sono stati stralciati dal procedimento perché non sufficientemente chiari a livello di elementi probanti.

Un lungo “calvario” giudiziario

Ma ricostruiamo la vicenda di fausta Bonino con l'aiuto di Prima Firenze.

Il caso di Fausta Bonino inizia con l’arresto del 30 marzo 2016 dai carabinieri del Nas, in esecuzione dell’ordinanza del gip di Livorno che la accusava di aver causato la morte di 13 pazienti nel reparto di rianimazione all'ospedale di Piombino dove lavorava. I decessi erano avvenuti per emorragie improvvise che, secondo le ipotesi degli investigatori, sarebbero state una conseguenza della somministrazione di massicce dosi di eparina.

Successivamente, il 20 aprile 2016, l'infermiera venne scarcerata dal tribunale riesame e tornò libera. Due anni dopo, nel giugno 2018, la procura di Livorno chiuse le indagini attribuendole 10 decessi mentre per gli altri tre venne indagato Michele Casalis, primario del reparto, accusato di omicidio colposo per non aver vigilato sul personale sanitario alle sue dipendenze.

La prima sentenza venne emessa dal GIP nell’aprile 2019 e fu tremenda: ergastolo per quattro dei decessi, mentre assoluzione per gli altri sei perché “il fatto non sussiste” e assoluzione per l’accusa di abuso di ufficio. Fausta Bonino aveva sempre negato ogni responsabilità e dopo la lettura della sentenza scoppiò in lacrime di fronte al marito e a uno dei figli. “Non è giusto, non ho fatto nulla”, ripeteva disperata.

Presentato il ricorso in appello, fu la corte fiorentina a cancellare l’ergastolo inflitto con il rito abbreviato per le sei morti sospette e scagionandola per le altre quattro. Mentre il 22 gennaio 2022, sempre la Corte d’Appello di Firenze, aveva assolto l'infermiera per tutte le accuse di omicidio volontario non ritenendo ci fossero «indizi gravi, precisi e concordanti» che potessero far ricondurre le morti sospette alla sua responsabilità.

L'infermiera killer di Lecco

Tra i diversi i casi analoghi a quello di Fausta Bonino, forse il più eclatante è stato quello di Sonya Caleffi, la cosiddetta "infermiera killer di Lecco".

Sonya Caleffi

Come più volte raccontato anche da Prima Lecco, 48 anni, originaria di Tavernerio, Caleffi ha seminato morte e dolore all'ospedale Manzoni di Lecco dove lavorava (prima aveva lavorato anche al San'Anna di Como). La donna venne arrestata nel dicembre 2004, quando l'Ospedale si era preoccupato per l'improvviso aumento della mortalità in corsia e qualche parente aveva iniziato a puntare il dito contro di lei. L'infermiera aveva subito confessato gli omicidi e i tentati omicidi perpetrati nella corsie del reparto di Medicina nell'autunno 2004 sostenendo di aver agito «per farsi notare e sentirsi valorizzata da colleghi e superiori», intervenendo prontamente di fronte alle embolie che lei stessa causava con le iniezioni. Di fatto però non era mai intervenuta, non aveva mai salvato nessuno, ma aveva ammazzato persone anziane che contavano su di lei per guarire.

Condannata a 20 anni per l’omicidio di 5 persone (e il tentato omicidio di altre 2) Sonya Caleffi è uscita dal carcere nell'ottobre del 2018. Avrebbe dovuto scontare la condanna fino al 2024, ma ha usufruito di tre anni di indulto e un anno di riduzione della pena ogni quattro di buona condotta.

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