Baby Reindeer, un “campione” che mette in luce i mali dell’intera umanità: l’Irriverente analisi di Simone Di Matteo
Un prodotto cinematografico i cui ingredienti si basano su una realtà ben peggiore della finzione
“Stalking è quando due persone fanno una lunghissima passeggiata romantica in riva al mare, ma soltanto una delle due lo sa”.
Si potrebbe definire così, in maniera estremamente riduttiva o troppo indulgente, ma di sicuro in linea con le capacità di espressione e comprensione di cui è dotata questa nostra sventurata generazione di idolatranti, uno dei tanti mali che affligge (sebbene sarebbe più appropriato il termine “caratterizza”) l’umanità.
Un fenomeno di cui siamo abituati spesso e volentieri a sentir (s)parlare, ma contro il quale non si fa mai abbastanza e la cui portata, di solito, non viene presa in considerazione in modo adeguato. Sarà forse per questo che Baby Reindeer, la serie Netflix del momento, sta riscuotendo un ragguardevole successo a livello internazionale con la sua trama, tratta da fatti realmente accaduti, che potrebbe essere, per chi lo voglia ammettere oppure no, un po’ la storia di ciascuno di noi.
Gli ingredienti che Baby Reindeer prende in prestito da una realtà assai peggiore
Tempo fa, anche io ebbi la sfortuna di avere uno stalker, mio malgrado, però, non ebbi altrettanta fortuna nel diventare il soggetto di una serie tv. Martha e Donny, invece, questi i nomi fittizi assegnati ai due protagonisti per ovvie ed evidenti ragioni che non starò qui a ripetere, si sono ritrovati inaspettatamente di fronte alla rappresentazione cinematografica di una parentesi della loro vita.
Potremmo quasi ritenerlo un modello “a campione” in cui in tantissimi potrebbero riconoscersi (dopotutto, dovuti aggiustamenti a parte, la sostanza non cambia) e una storia che prende il via dallo stalking per poi concentrarsi sulla solitudine, l’ossessione, la vergogna, la potenza negativa dei social media, la compassione e la pietà con cui abbiamo a che fare ogni singolo giorno.
350 ore di messaggi vocali. 744 tweet. 46 messaggi su Facebook, inviati da 4 account falsi. 106 pagine di lettere. E soprattutto, 41.071 e-mail. È così che si potrebbe riassumere la relazione amorosa a senso unico di Martha con Donny, una storia travagliata tra una donna dalla fantasia piuttosto sorprendente, nonché dalle problematiche altresì evidenti, e un uomo dal passato traumatico per via delle violenze sessuali subite da un amico, quel medesimo uomo che arriva persino, al termine della narrazione, a sentire la mancanza della sua disturbatrice.
Insomma, una sequela di eventi che ha avuto inizio con una bibita offerta (galeotta fu la diet coke, direbbe qualcuno) e che è finita, passando per il riemergere dei traumi di lui, con la condanna al carcere di lei.
Ebbene sì perché vedete, checché ne dicano le più sfegatate femministe del nostro tempo (che poi sono le stesse che di “femministico” non hanno proprio un bel niente), quella parità con cui amano riempirsi la bocca non vale solamente per i diritti e le opportunità, ma anche per le colpe e per le debolezze. E parlando di debolezze, in un’era di digitali speranze e multimediali illusioni come la nostra, in cui viviamo costantemente intrappolati tra ciò che vorremmo che fosse e quel che non sarà mai, nella generale condizione di social-drunk che ci contraddistingue ormai da illo tempore, siamo tutti un po’ stalker.
Che si tratti di una celebrità di cui attendiamo con ansia il prossimo aggiornamento del profilo Instagram, di una persona della quale siamo segretamente innamorati e le cui foto non possiamo fare a meno di ammirare all’infinito, o di un personaggio fittizio prodotto dall’industria cinematografica in cui vorremmo reinventarci, siamo talmente travolti dal sogno di una virtualità che non esiste da dimenticarci di vivere una vita reale, sincera, autentica e al massimo delle nostre possibilità.
Perché, in fondo, siamo tutti, chi più e chi meno, ossessionati dalle attenzioni, pur malsane e pericolose che siano, dalla popolarità, dall’approvazione altrui e da un’idea che tale resterà, per sempre.
Perché, in fondo, chiunque è a conoscenza dell’influenza negativa delle piattaforme virtuali pur continuando ad utilizzarle come se non ci fosse un domani per nutrire un io che tutto ha fuorché un ego.
Perché, in fondo, ognuno ha le proprie debolezze, siano esse della carne, di gola o del cuore, e ciascuno cerca rassicurazione, rifugio e protezione in qualcosa che, in fin dei conti, non esiste.
Perché, in fondo, qualsiasi individuo può rimanere traumatizzato da un evento terribile del proprio passato, da un’avventura spiacevole del presente o da una realtà che non garantisce alcuna prospettiva futura, così da spingerlo tra le braccia di ciò che, altrimenti, non sarebbe mai potuto o dovuto diventare.
E perché, in fondo, lasciatemelo dire, tutti proviamo vergogna e pietà per chiunque tranne che per noi stessi, dal momento che ignoriamo (o non vogliamo ammettere) che gli ingredienti segreti da cui Baby Reindeer attinge sono quelli di una realtà che è assai peggiore della finzione che vi si ispira!!!