Uno sguardo sulla società

Mary Poppins, un ulteriore passo verso la cancellazione del passato in nome del politically correct: l’Irriverente riflessione di Simone Di Matteo

Il sintomo di una spasmodica caccia alle streghe, fomentata dall'ondata di perbenismo imperante, che sta investendo tutto l'Occidente

Mary Poppins, un ulteriore passo verso la cancellazione del passato in nome del politically correct: l’Irriverente riflessione di Simone Di Matteo
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Dobbiamo guardare al passato con i canoni del presente oppure con i suoi canoni, gli stessi che ci hanno poi permesso di dar vita a quelli odierni? È questo il dubbio amletico del nostro sconclusionato tempo, un'epoca in cui si fa prima a censurare, o meglio a cancellare definitivamente, che a cercare di comprendere e dove qualsiasi forma di dissenso o disaccordo viene epurata dalla cosiddetta Livella, come la chiamava il compianto Principe Antonio De Curtis (in arte Totò), del sempre più preponderante politically correct. La Storia, si sa, dovrebbe insegnarci qualcosa e invece, pur di non dover ammettere gli innumerevoli fallimenti dell'uomo contemporaneo, preferiamo di gran lunga eliminarne ogni traccia. Un moralismo eccessivo e pericoloso, il nostro, che porta all'inevitabile morte del raziocinio, un appiattimento delle idee individuali a beneficio di un mal comune che ha investito - ahimè, ahinoi, ahitutti – ogni campo, settore e ambito, persino quello cinematografico nel quale il classico hollywoodiano Mary Poppins ha dovuto fare i conti con la tristemente nota cultura della cancellazione.

Davvero Mary Poppins è la cosa più dannosa con cui abbiamo a che fare?

Da che mondo è mondo, non serve che stia a qui a sottolinearvelo più del dovuto, l'arte e il pensiero si evolvono di pari passo con la società in cui essi si sviluppano, pertanto non dovremmo stupirci di ciò che ci ritroviamo di fronte al giorno d'oggi. Eppure, non c'è un singolo istante in cui non mi venga puntualmente ricordato che "al peggio non c'è mai fine". A pensarci bene, in effetti, viviamo in una realtà in cui ci battiamo il petto per la libertà di espressione un momento prima e subito dopo etichettiamo, demonizziamo, screditiamo e manganelliamo tutti coloro che esprimono concetti discostanti dalla nostra versione dei fatti o da quella che potrebbe essere definita “narrazione di Stato”; una realtà dove si invoca quotidianamente la pace e, al contempo, non si perde un attimo per farsi la guerra; una realtà in cui si sente troppo spesso parlare di violenza e mai abbastanza d’amore, compassione o solidarietà; una realtà dove ci piace tanto (s)parlare a sproposito e in cui dev’essere addirittura Sabrina Ferilli, una che di peli sulla lingua, perlomeno dinanzi alle telecamere, non ne ha mai avuti, a rammentarci che “non si può dire” e “non si può fare” proprio “più niente”! Insomma, viviamo in una realtà in cui quel livellamento culturale che porta al regresso (umano e non solo) prende il via dalle più illustri poltrone e dai mass media, i quali continuano a propinarci i loro prodotti del cazzo nella speranza (il più delle volte soddisfatta, purtroppo!) di farceli apparire pure giusti e adeguati, o peggio, nel disperato tentativo di avvolgerci in una coltre di finta bambagia.

Basti pensare, tra gli altri, al live-action targato Disney di Biancaneve, che dell’originaria fiaba dei Fratelli Grimm ha poco o niente, in cui, similmente a quanto accaduto con La Sirenetta, il classico principe azzurro e i canonici sette nani vengono sostituiti da creature di vario genere, dimensioni ed etnie giusto per non scontentare nessuno. O ancora, alla spasmodica rimozione di parole come “grasso” e “brutto” dai testi del celebre scrittore britannico Roald Dahl, autore de La fabbrica di cioccolato, nonostante queste facciano comunque parte del lessico attuale e non necessitino, a mio avviso, di alcuna edulcorazione. Oppure, alla riedizione inglese dei romanzi di James Bond ripuliti da termini del calibro di “negro", "nero" o "africano" che, sebbene abbiano un’accezione fortemente dispregiativa, rimangono sintomo dell’atmosfera culturale in cui tali opere sono state scritte. E infine, per arrivare al caso dell’ultimo minuto, alla rimodulazione a livello di pubblico per Mary Poppins, la tata più famosa e amata del grande schermo che, di punto e in bianco, pare esser divenuta un modello dannoso per i più piccoli al quale porre immediatamente un freno.

Mary Poppins

Nello specifico, la famosa pellicola del 1965 con protagonista Julie Andrews è ora un cult musicale per famiglie non più adatto alle famiglie, dal momento che la British Board of Film Classification, l’equivalente di quella società che un tempo in Italia assegnava il visto censura, ha sentenziato che la sua classificazione ufficiale debba passare da “film per tutti” a “film sconsigliato ai minori di 8 anni e adatto ai minori di 12 anni solo se accompagnati da una persona adulta”. Il motivo?! La presenza di un linguaggio apparentemente inappropriato che sarebbe da ricercare nella parola “hottentots”, ossia “ottentotti”, che in origine si riferiva alle popolazioni nomadi incontrate dagli olandesi nell’Africa del Sud, in seguito estesosi a definire genericamente dei “selvaggi” o i popoli africani, e che in Italia era già in voga nel ‘700 con il significato di “ignoranti semplicioni”. Non so cosa ne pensiate voi, ma, tralasciando l’ambientazione all’apice del colonialismo britannico dell’opera che ne giustificherebbe l’uso dati i forti pregiudizi razziali dell’epoca, chiunque abbia visto il lungometraggio sa che “ottentotti” viene pronunciato soltanto due volte e per giunta da un personaggio comico, dunque da non prendere sul serio, in riferimento a degli spazzacamini. Perciò, tale limitazione ha un reale senso al di là dell’essere l’ennesima manifestazione di una spasmodica caccia alle streghe guidata dall’onda di perbenismo imperante che sta investendo tutto l’Occidente?

In più, parliamoci seriamente, siamo sicuri che questo sia quanto di più rischioso i bambini possano incontrare oggigiorno? Anche perché, guardandomi intorno, mi sembra che i minori siano costantemente circondati da ciò che di più lontano da loro dovrebbe trovarsi. Ci sono quei genitori disfunzionali che li espongono sui social network nemmeno fossero delle Chiara Ferragni e dei Fedez qualunque, c’è quell’infinità di serie televisive della risma di Mare Fuori, degne giusto delle migliori produzioni audio-visive di Sesso, Droga e Pastorizia, ci sono quei modelli diseducativi messi in bella mostra in qualunque vetrina o su una qualsiasi piattaforma che abbia un largo bacino di utenza e, per concludere, c’è il libero accesso alla pornografia perché non sia mai che qualcuno imposti il Parental Control. Ma più di ogni altra cosa, c’è questa strana abitudine di far ricorso a “due pesi e due misure” differenti a seconda delle circostanze e di vedere il male laddove non ci è traccia, trascurando magari quei posti in cui esso è presente. Perché, fidatevi, il male esiste, esiste davvero!

Se vi siete persi il commento della scorsa settimana dell'Irriverente Simone Di Matteo dedicato alle vicende di Pisa e Firenze, potete recuperarlo QUI!

Commenti
giusy

penso che cancellare il passato ci toglie la misura di quanto siamo evoluti o "involuti" oggi. Forse è proprio la consapevolezza della degenerazione attuale che si vuole cancellare.

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