Calvin Klein e censura, perché agli uomini sì e alle donne no? – L’Irriverente commento di Simone Di Matteo

Un passo indietro che denota l'ancora esistente disparità di genere tra uomo e donna

Calvin Klein e censura, perché agli uomini sì e alle donne no? – L’Irriverente commento di Simone Di Matteo
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Qualche giorno fa, mentre ero intento a lanciare uno sguardo sanzionatorio e melancolico sull’infinità di contraddizioni e incongruenze, ipocrisie e insensatezze, che contraddistinguono questa nostra sconclusionata contemporaneità, mi sono soffermato un attimo a riflettere sull’essenza e sull’apparenza di ciò che ci circonda. E così, sono giunto all’inevitabile ed ovvia conclusione che le cose “sono” o “non sono”. Non c’è alcuna via di mezzo né doppi standard nel metro di giudizio. O almeno, è in questo modo che dovrebbe funzionare. Ebbene sì, perché noi, incoscienti idolatranti nati nel più sfortunato dei secoli, ci adoperiamo senza sosta, a discapito di quel che amiamo raccontare e raccontarci, per far sì che ciò che non dovrebbe essere inevitabilmente sia.

Un po’ quanto accaduto con la nuova campagna di Calvin Klein, sottoposta ad un’operazione di censura che mette nuovamente in discussione quei principi fondamentali sui quali abbiamo basato la nostra concezione di società civile moderna.

Cosa ha di diverso la campagna di Calvin Klein dalle altre?

Viviamo in quella che dovrebbe oramai essere l’era dell’emancipazione e del “via libera” alla qualunque, della parità dei sessi, dell’inclusione e della fluidità. Eppure, quando si tratta di venire ai fatti, quelle buone cause per le quali ci piace tanto batterci il petto si riducono a mere chiacchiera fuffose, lasciando intravedere una dimensione quanto più statica possibile.

Dopo anni di lotte continue e battaglie interminabili in qualsivoglia tipo di ambiente o ambito, in effetti, ci siamo ritrovati intrappolati in una realtà in cui “il tutto è il contrario di tutto” e niente ha più valore. Forse perché non siamo poi così bravi ad agire come lo siamo ad indorare la pillola, o chissà, magari perché ai più fa comodo che la situazione rimanga tale.

Comunque sia, sta di fatto che ancora oggi, all’interno della nostra società apparentemente “libera” ed “equilibrata”, le catene che a onor del vero la permeano e la fanno regredire (anziché progredire) sono purtroppo molte, oserei dire troppe. Basti pensare al fatto che tutt’ora l’omosessualità viene considerata da taluni al pari di una “malattia mentale” che necessita di essere curata con le pratiche più disumane.

Oppure, a quell’egoismo imperante che la fa da padrone incontrastato a discapito della solidarietà perfino verso il proprio prossimo più vicino. O ancora, alle discriminazioni di matrice civile, sociale, religiosa, razziale, sessuale e politica che il più delle volte costano a tanti la vita (sia metaforicamente che letteralmente). O che ne so, alla miriade di disparità di genere che squarciano il sottile velo di apparente perfezione che ammanta un mondo che di perfetto non ha proprio nulla.

A pensarci bene, a differenza di quei risultati che vengono opportunamente sbandierati spesso e volentieri da coloro a cui fa più seriamente comodo che questi non vengano conseguiti, non esiste nessuna parità tra uomo e donna. A livello professionale, ad esempio, la figura femminile gode di moltissimi privilegi e opportunità in meno rispetto agli uomini. E a livello sociale, neanche a parlarne, le cose non vanno di certo diversamente. È sufficiente guardare il modo in cui le donne vengono trattate per accorgersene.

Se una donna esprime un’opinione in disaccordo con la moltitudine, “sta criticando”, mentre se è un uomo a non essere d’accordo, egli “sta argomentando”. Se una donna si dissocia da qualcuno o qualcosa ed espone le sue ragione, allora sta “attaccando” o “aizzando baruffe da pollaio”, mentre se è un uomo a farlo, le considerazioni su di lui sono ben differenti. E infine, se una donna fiera e libera espone il proprio corpo in maniera assolutamente non volgare, viene in ogni caso etichettata come una “poco di buono da censurare”, mentre l’uomo il “bel macho” da mettere in mostra e di cui farsi vanto.

In altre parole, esattamente ciò che è successo con l’ultima campagna pubblicitaria targata Calvin Klein. La nota maison, infatti, per pubblicizzare la sua nuova linea di intimo, sia maschile che femminile, si è rivolta a Jeremy White e alla cantante Fka Twigs. E fin, qui, per carità, niente di male.

Jeremy White e Fka Twigs

Peccato solo, però, che se l’immagine dell’attore è rimasta intonsa in ogni angolo del pianeta, nel Regno Unito quella della giovane artista è stata censurata perché, a detta della Advertising Standards Authority, quest’ultima sarebbe stata “presentata come un classico oggetto sessuale" esponendo nei manifesti una parte del seno.

Ora, a prescindere dal fatto che il nudo sia diventato da tempo un elemento preponderante nell’ambito pubblicitario-promozionale e artistico, a mio non modesto avviso si tratta di un intervento eccessivo che non fa altro che rafforzare una condizione di inferiorità della donna, la stessa che da decenni si cerca incessantemente di combattere. Anche perché, sinceramente, in altri contesti e sedi si è visto ben di peggio.

Chi non ricorda gli scatti artistici delle dive di altri tempi, la maggior parte dei quali erano totalmente dei nudi. O come non notare quei personaggi che si presentato in televisione sprovvisti di biancheria intima e quelle star, soprattutto quelle americane, che sfilano sui red carpet avvolte da mise di solito ai limiti del pornografico!

Campagna promozionale per la nuova scarpa "Tango" by Valentino - 2022
Fonte: Web

Perciò, se proprio dobbiamo, a questo punto perché non censurare anche White, dal momento che negli scatti ufficiali diffusi in tutto il mondo viene ripreso, seppur con dei boxer bianchi, con il pacco in bella vista? Dove sta la differenza tra un seno e un pettorale?

In fondo, la malizia è solamente negli occhi di chi guarda, altrimenti sarebbero andate incontro ad un identico destino finanche le campagne passate dello stesso marchio.

Calvin Klein
Campagna promozionale per la nuova borsa "Musudo" by Acne Studios - 2022
Fonte: Web

Perché, allora, per citarne alcuni, non ricorrere alla censura pure per le foto della nuova campagna del brand svedese Acne Studios per la nuova borsa Musubi del 2022, che mette in risalto corpi svestiti e sinuosi a mo’ di cornice per il famoso accessorio? Perché non sanzionare Valentino che, sempre nel 2022, per il lancio della scarpa Tango, ha optato per modelli e modelle messi letteralmente a nudo in mezzo alla natura? Perché non bruciare i rotocalchi raffiguranti una campagna degli anni ’90 targata Versace in cui Claudia Schiffer e Sylvester Stallone si reinventavano in un Adamo ed una Eva in versione XX secolo, entrambi vestiti con un solo oggetto della casa di moda? Perché, invece di andare avanti, non facciamo altro che tornare indietro? In definitiva, perché agli uomini sì e alle donne no?

Calvin Klein
Campagna Versace - 1995
Fonte: Web

Se vi siete persi il commento della scorsa settimana dell'Irriverente Simone Di Matteo dedicato all'intelligenza artificiale, potete recuperarlo QUI!

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