La scoperta: bergamaschi più vulnerabili al Covid perché discendenti dei Neanderthal
La ricerca Origin effettuata dall'istituto Mario Negri: "Chi è stato esposto al virus ed è portatore dell'aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave"
Nella primissima fase della pandemia da Covid-19, cioè a marzo 2020, tra tutte le province italiane, quella di Bergamo, in Lombardia, era stata sicuramente la più colpita dal virus SARS-CoV-2. Tornando con la memoria a quei drammatici momenti, infatti, una delle prima immagini che salta alla mente è quella dei camion militari che, nella notte del 18 marzo 2020, trasportano una settantina di bare fuori dalla città, dove ormai non c’era più posto per poterle accogliere. Giorni complicati per Bergamo, e in particolare per la Val Seriana, da quali però, come per il resto della nostra Penisola, è stato possibile risollevare grazie alle misure di sicurezza e alla massiccia campagna vaccinale anti-Covid.
Ma per quale motivo, durante le fasi iniziali della pandemia, quella zona della Bergamasca è stata così tanto martoriata? Una risposta univoca è difficile da dare, eppure, da un recente studio realizzato dall'istituto Mario Negri, impegnato nell'analisi della relazione fra i fattori genetici e la gravità della malattia Covid-19 nella provincia di Bergamo, sarebbe emersa una curiosa associazione: nella diffusione del Covid in Val Seriana, infatti, hanno avuto una parte importante la presenza dei geni che risalgono all'Uomo di Neanderthal.
La tragedia del Covid in Val Seriana? C'entrano i geni di Neanderthal
Hanno partecipato, completando un questionario, quasi diecimila bergamaschi e ora Origin, lo studio di popolazione che negli ultimi due anni ha visto i ricercatori dell'istituto Mario Negri impegnati nell'analisi della relazione fra i fattori genetici e la gravità della malattia Covid-19 nella provincia di Bergamo, ha dato i suoi primi risultati.
Come raccontato da Prima Bergamo, nella diffusione del Covid in Val Seriana hanno avuto una parte importante la presenza dei geni che risalgono all'Uomo di Neanderthal.
Questo è quanto è stato riportato da Giuseppe Remuzzi, direttore del Mario Negri, in occasione della conferenza convocata nel primo pomeriggio di ieri, giovedì 14 settembre in Sala Biagi a Palazzo Lombardia.
La ricerca dell'istituto, pubblicata sulla rivista iScience, dimostra infatti che una certa regione del genoma umano si associa in modo significativo al rischio di ammalarsi di Covid-19 e di ammalarsi in forma grave nei residenti in quelle aree più colpite dalla pandemia.
"La cosa sensazionale - afferma Giuseppe Remuzzi - è che tre dei sei geni che si associano a questo rischio sono arrivati alla popolazione moderna dai Neanderthal, in particolare dal genoma di Vindija che risale a cinquantamila anni fa ed è stato trovato in Croazia. Una volta forse proteggeva i Neanderthal dalle infezioni, adesso però causa un eccesso di risposta immune che non solo non ci protegge ma ci espone a una malattia più severa.
Le vittime del cromosoma di Neanderthal nel mondo - ha aggiunto - sono forse un milione e potrebbero essere proprio quelle che, in assenza di altre cause, muoiono per una predisposizione genetica".
Come si è svolto lo studio
Allo studio hanno aderito 9.733 persone di Bergamo e provincia che hanno compilato un questionario. Il 92% dei partecipanti che avevano avuto Covid-19 si era infettato prima di maggio 2020. Tra questi, 12 persone avevano avuto sintomi già a novembre-dicembre 2019. All'interno di questo ampio campione sono state selezionate 1.200 persone - tutte nate a Bergamo e provincia - divise in tre gruppi omogenei per caratteristiche e fattori di rischio: 400 che hanno avuto una forma grave della malattia, 400 che hanno contratto il virus in forma lieve e 400 che non l'hanno contratto.
Le persone che avevano avuto Covid-19 severo avevano più frequentemente parenti di primo grado morti a causa del virus rispetto ai partecipanti con Covid-19 lieve o che non si erano infettati. Questo dato evidenzia un contributo della genetica alla gravità della malattia.
I campioni di DNA sono stati analizzati mediante un DNA microarray, una tecnologia in grado di leggere centinaia di migliaia di variazioni (polimorfismi) su tutto il genoma, che ha permesso di analizzare per ogni partecipante circa 9 milioni di varianti genetiche e di rilevare la regione del DNA responsabile delle diverse manifestazioni della malattia. In questa regione, alcune persone (circa il 7% della popolazione italiana) hanno una serie di variazioni dei nucleotidi (le singole componenti che costituiscono la catena del DNA) che vengono ereditati insieme e formano un aplotipo, ovvero l'insieme di queste variazioni.
"I risultati dello studio Origin - spiega Marina Noris, Responsabile del Centro di Genomica umana dell'Istituto Mario Negri - dimostrano che chi è stato esposto al virus ed è portatore dell'aplotipo di Neanderthal aveva più del doppio del rischio di sviluppare Covid grave (polmonite), quasi tre volte in più il rischio di aver bisogno di terapia intensiva e un rischio ancora maggiore di aver bisogno di ventilazione meccanica rispetto ai soggetti che non hanno questo aplotipo".
Questa suscettibilità è collegata in particolare alla presenza di tre dei sei geni di questa regione che si trovano sul cromosoma 3: si tratta dei geni CCR9 e CXCR6, responsabili di richiamare i globuli bianchi e causare infiammazione durante le infezioni, e del gene LZTFL1, che regola lo sviluppo e la funzione delle cellule epiteliali nelle vie respiratorie, condizionando le diverse manifestazioni della malattia.
Non è chiaro quale gene giochi il ruolo più importante. Inoltre, lo studio ha identificato altre 17 nuove regioni genomiche (loci) di cui 10 potenzialmente associate a malattia severa e 7 potenzialmente associate a rischio di contrarre l'infezione.