Secondo caso

Suicidio assistito, via libera a una donna di 78 anni malata di tumore

“Gloria” (nome scelto dalla persona a tutela della sua privacy), paziente oncologica di 78 anni, potrà decidere quando porre fine alle sue sofferenze grazie a una procedura, a cura della Regione Veneto, che si è conclusa senza ostruzionismi

Suicidio assistito, via libera a una donna di 78 anni malata di tumore
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Una donna di 78 anni con un tumore irreversibile e incurabile ha ottenuto il via libera al suicidio assistito in Veneto. E' il secondo caso in Italia, sempre nella stessa regione, con l'ok da parte dell'azienda sanitaria regionale e dal Comitato etico

(foto copertina d'archivio).

Suicidio assistito in Veneto, via libera a una donna di 78 anni con un tumore irreversibile

Dopo Stefano Gheller, un'altra cittadina residente in Veneto ottiene la verifica delle condizioni per poter accedere al suicidio assistito.  “Gloria” (nome scelto dalla persona a tutela della sua privacy), paziente oncologica di 78 anni, potrà decidere quando porre fine alle sue sofferenze grazie a una procedura, a cura della Regione Veneto, che si è conclusa senza ostruzionismi.

Stefano Gheller con Marco Cappato

"Mentre in altre Regioni i pazienti che chiedono di poter accedere al suicidio assistito sono costretti a procedere per vie legali perché il Sistema sanitario boicotta la legge, in Veneto arriva per la seconda volta il via libera da parte dell’azienda sanitaria regionale e dal Comitato etico ad una richiesta di verifica delle condizioni per poter accedere al “suicidio medicalmente assistito”, si legge in una nota dell'associazione Luca Coscioni.

La procedura di verifica delle condizioni e delle modalità per accedere al suicidio assistito, come previsto dalla sentenza Cappato  della Corte costituzionale, si sono concluse in circa 6 mesi.

L'azienda sanitaria ha stabilito che "Gloria" possiede tutti i requisiti previsti dalla sentenza 242/19, accertando che la persona ha autonomamente e consapevolmente deciso di procedere con l'aiuto alla morte assistita; che è affetta da patologia oncologica irreversibile; che tale patologia produce sofferenza che lei stessa reputa intollerabile; che i trattamenti con “farmaci antitumorali mirati” costituiscono sostegno vitale. L’azienda ha ora comunicato che fornirà tutta la strumentazione necessaria all'autosomministrazione del farmaco.

"Nelle Marche, Federico Carboni, quasi un anno fa, è stata la prima persona ad accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia, ma aveva dovuto farsi carico dei costi del macchinario, costi coperti grazie a una raccolta fondi aperta dall’Associazione Luca Coscioni".

La sentenza Cappato

Il Veneto è la prima Regione d’Italia ad aver raggiunto le firme necessarie, 7.000, per poter portare la proposta di legge sul suicidio assistito in Consiglio regionale. Sulla proposta “Liberi Subito” elaborata dall’Associazione Luca Coscioni si stanno raccogliendo le firme anche in Piemonte, Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia. Analoga proposta verrà depositata in Basilicata e Lazio attraverso l’iniziativa dei Comuni ed è già stata depositata da consiglieri regionali in Sardegna, Puglia e Marche.

«Sono fiduciosa e confido in un iter rapido del progetto di legge, vista anche la recente approvazione in Consiglio di una mia mozione volta a garantire un fine vita libero da condizionamenti politici e ideologici. Un primo, importante tassello che impegna la Regione a garantire un percorso oggettivo e rapido a tutte le persone che avanzano la richiesta di procedere alle pratiche per il fine vita, astenendosi da interventi che possano condizionare la volontà delle persone. Ora però serve una legge», conclude la consigliera regionale Baldin.

E' morta in Svizzera a 69 anni Elena, la donna di Spinea in provincia di Venezia che ha scelto il suicidio assistito dopo aver scoperto un tumore ai polmoni ormai non più curabile.

Suicidio assistito, Elena è morta in Svizzera

La decisione, sofferta, dolorosissima, è stata per la signora Elena, l'unica da percorrere. E ora, come annunciato da Marco Cappato che l'ha accompagnata in una clinica in Svizzera per terminare la propria esistenza, ha cessato di vivere. La donna, 69 anni, originaria di Spinea in provincia di Venezia, ha spiegato che ha voluto evitare l'inferno dei prossimi mesi.

Marco Cappato
Marco Cappato al confine tra Italia e Svizzera: rischia 12 anni di carcere

La donna ha spiegato le proprie motivazioni in un video che Marco Cappato ha voluto condividere sui propri canali social.

"Solitamente sono una persona riservata - ha spiegato - Ma penso possa essere utile alle persone nella mia condizione. Nel luglio 2021 mi hanno diagnosticato un microcitoma polmonare. Avevo poche possibilità ma ho deciso di curarmi. Purtroppo non è servito. I medici mi hanno dato pochi mesi di sopravvivenza. E mi hanno spiegato come sarebbero peggiorate le mie condizioni. Ho scelto di terminare io stessa la mia esistenza. La mia famiglia ha approvato la decisione".

Il sostegno di Marco Cappato

Un video commovente, in cui la donna appare lucida e determinata. Marco Cappato, dal canto suo, non le ha mai fatto mancare il proprio sostegno. E questo comporta dei rischi e delle conseguenze. Lui ha detto che si sarebbe autodenunciato (nella la stazione dei Carabinieri in via Fosse Ardeatine a Milano) non appena rientrato in Italia. Qui, nel nostro Paese, lui rischia fino a 12 anni di carcere, come ammette in un video. Anche perché il caso della signora non è contemplato dalla Corte costituzionale come uno di quelli in cui è ammesso il suicidio assistito.

I precedenti

Nella prima parte del mese di giugno del 2022 c'è stata la morte di Fabio Ridolfi, il primo malato in Italia a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito, dopo la sentenza 'Cappato-Dj Fabo' emessa dalla Corte Costituzionale. Il 46enne di Fermignano (Pesaro-Urbino) aveva però sì ottenuto il via libera, ma non ha potuto morire come aveva scelto perché l'Asl - contravvenendo alla legge - non aveva indicato il farmaco da utilizzare e lui, da 18 anni inchiodato a letto a causa di una tetraparesi, era stato costretto a ripiegare sulla sedazione profonda, sorta di "scelta di ripiego" seguita alla revoca del consenso alla nutrizione e alla idratazione artificiali.

Poi c'è Federico Carboni. La sua battaglia è stata lunga, estenuante e lenta, ma alla fine ha ottenuto l’accesso al suicidio assistito, così com’era stato stabilito da tempo. Di fatto, dopo 20 mesi di lotte legali, il 16 giugno 2022 il 44enne marchigianio di Senigallia (Ancona), finora da tutti conosciuto come “Mario“, è diventato il primo caso italiano di accesso al suicidio assistito, così come previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale 242/2019.

Ovviamente prima di queste due storie, a livello temporale, c'è quella di Dj Fabo. Rimasto tetraplegico per un incidente stradale, Fabiano Antoniani, ha scelto di morire con il suicidio assistito in una clinica svizzera il 27 febbraio del 2017. Con lui c’era, anche in quell'occasione, Marco Cappato che il giorno successivo si autodenunciò.

La procura di Milano denunciò Cappato con l’accusa di aiuto al suicidio e per lui iniziò il processo che si concluse, però, il 23 dicembre 2019 con l’assoluzione totale. La Corte costituzionale, chiedendo un intervento del Parlamento per colmare un vuoto legislativo, aveva inizialmente rinviato a settembre 2019 il verdetto sull’aiuto al suicidio ma poi fu costretta ad assolverlo: non esistevano elementi per incriminarlo.

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Piergiorgio Welby

L'intero dibattitto sul suicidio assistito, ad ogni modo, non esisterebbe nemmeno senza l'impegno, la dedizione e i sacrifici di Piergiorgio Welby, co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni, militante del partito Radicale, noto proprio perché nel 2006, gravemente malato, chiese che venissero interrotte le sue cure, morendo a 61 anni per il distacco del respiratore artificiale previa somministrazione di sedativi.

Piergiorgio Welby allo stadio terminale della malattia - CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1474292
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